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Noise Trade Company: Crash Test One

A dimostrazione che la musica italiana non è solo quella melodica del festival di Sanremo

Noise Trade Company

Crash Test One

(Cd, N-Label/Goodfellas, 2009)

electro, harsh, pop

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crashtest1Siamo a febbraio, e come tutti gli anni, tra pochi giorni inizierà la kermesse del festival di Sanremo. Inutile dire che non vedevamo l’ora: siamo per essere travolti da un mare di canzonette più o meno melense, nel quale navigheremo, nostro malgrado, per i prossimi mesi. Ma per chi, come me, pensa che il Festival della Canzone Italiana altro non è che una passerella per discografici, un album come quello dei Noise Trade Company è l’esempio lampante che l’Italia non è un paese per vecchi.

I Noise Trade Company sono un duo nato da poco, formato da Gianluca Becuzzi e Chiara Migliorini e coadiuvato, per questo progetto, da artisti come Paolo Cillerai, Valerio Cosi e Fabio Orsi. Quello a cui danno vita non è semplicemente un omaggio alla musica che ha caratterizzato il passaggio dagli anni ’70 agli ’80; siamo di fronte a una vera e propria rinascita di un suono apparentemente non proprio mainstream nel nostro bel paese.

Quel che ne risulta è un mix di elettronica contrapposta al punk, di suoni di synth e chitarre stridenti, come macchine dagli ingranaggi poco oliati che riprendono servizio scrostandosi di dosso  la ruggine e i segni del tempo. Voci effettate scandiscono testi semplici e ripetitivi, che si fondono con i rumori delle fabbriche e con radio in cerca di sintonia. Brani ronzanti come sciami di api, pronti ad esplodere in migliaia di pezzi per poi ricomporsi in un’apparente melodia, che ti stritolano in un’apnea convulsa prima di abbandonarti esanime sulle rive di un mare cibernetico.

Il Danny Boyle di Trainspotting sarebbe andato in brodo di giuggiole davanti al pezzo che chiude l’album, Stupid Dreams; ipnotico al punto giusto per atmosfere eteree di sogno, dove una voce femminile recita un testo come se stesse leggendo un asettico comunicato. Ambientazione robotica e futuristica per un brano quasi incantevole, se la scelta dell’aggettivo non suonasse paradossale.

Quindi, se non volete passare le vostre serate lamentandovi che Sanremo è sempre la stessa lagna e sulle altre reti non danno niente, provate ad abbandonarvi all’originalità di questo duo, che muove i propri passi in quello che i discografici (vedi alla voce Mara Maionchi) definirebbero un genere di difficile collocazione. Sicuramente il vostro non sarà tempo sprecato.

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Simona Fusetta
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