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Niccolò Fabi: recensione di Meno Per Meno

Per celebrare i suoi 25 anni di carriera, il cantautore romano Niccolò Fabi manda alle stampe l'album Meno Per Meno, un viaggio sonoro tra passato e presente, con la gentilezza timbrica che lo contraddistingue e una malinconia terapeutica ricca di sfumature e colori.

Niccolò Fabi

Meno Per Meno

(BMG)

pop d’autore, elettronica, soul, folk acustico

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In occasione dei suoi 25 anni di carriera, quando tutto cominciò in quel lontano 1997 con il disco Il Giardiniere, il 54enne cantautore romano Niccolò Fabi manda alle stampe il suo dodicesimo album intitolato Meno Per Meno, edito per BGM e anticipato dall’uscita dei singoli inediti Andare Oltre e Di Aratro e Di Arena.

Dopo aver riempito l’Arena di Verona, lo scorso 2 ottobre, portando in scena uno spettacolo unico e irripetibile con cui ha rivissuto insieme al suo pubblico 25 anni di parole e musica, Niccolò Fabi ha voluto regalarci un nuovo affresco autorale dalle atmosfere intime, delicate e dai contorni poetici, attraverso un viaggio sonoro tra passato e presente, tra tradizione e modernità, che coniuga quattro nuove canzoni (Andare Oltre, Di Aratro e Di Arena, Al Di Fuori Dell’Amore, L’Uomo Che Rimane Al Buio) e sei brani di repertorio (Ho Perso La Città, Una Mano Sugli Occhi, Solo Un Uomo, Una Buona Idea, Costruire, A Prescindere Da Me), tutti rielaborati e arrangiati dal Maestro Enrico Melozzi per l’Orchestra Notturna Clandestina.

Una dimensione orchestrale in cui le magiche scenografie delineate dalle tastiere si combinano a luccicanti sonorità folk-acustiche di chitarra dal taglio west-coastiano, a corredo e valore aggiunto di un lungo percorso di costruzione personale, e professionale, segnato dal peso dell’esperienza, dalle complicanze della vita e dalle trasformazioni della società, in mezzo a gioie e dolori, sogni mancati e sprecati, invitando l’essere umano a rallentare e rinunciare alle frenesie della contemporaneità, intercettando quel filo di luce che lascia intravedere nuove (o vecchie) opportunità di ripartenza.

L’abilità di Niccolò Fabi è anche quella di saper raccontare una retorica senza mai risultare banale, senza inciampare sul gradino del facile moralismo, ma in grado di emozionare, di commuovere e fornire profondi spunti di riflessione, creando suggestivi paesaggi sonori nel toccare corde epidermiche e dosare la temperatura emotiva dei vari episodi, a conferma – ancora una volta – del suo straordinario talento e della sua capacità di leggere il nostro tempo, interpretandolo in musica con l’eleganza che lo contraddistingue.

Così, Niccolò Fabi, con quel nodo stretto che lega scrittura e vicissitudini esistenziali, e pur non possedendo un background di estrazione basso-popolare, è riuscito comunque a raggiungere uno spessore artistico ormai consolidato e riconosciuto in campo nazionalpopolare, forte di una gentilezza timbrica un po’ defilata che, in un gioco di equilibri tra suoni e parole e nella sua enfasi espressiva, si mescola senza invadenza a una malinconia terapeutica ricca di sfumature e colori.

 

In questa sorta di retrospettiva autoreferenziale e dell’altro, Niccolò Fabi si focalizza anche sulle dinamiche sociali che ci riguardano da vicino, osservando una comunità sempre più assoggettata alle logiche del consumismo, alla meccanicità dei ritmi di vita, che ha sacrificato solidarietà, empatia e spirito di aggregazione – sia nei rapporti interpersonali sia nel contatto con la natura – sull’altare dell’individualismo e dell’omologazione dove la bellezza è tutta uguale, togliendo il respiro alle nostre identità in nome di una parvenza di successo effimero e nella misera gloria che si cela dietro gli schermi digitali del cosiddetto progresso.

Un mondo alfanumerico in cui è sempre più difficoltoso orientarsi, che ci ha abituato ad adeguarci a ogni condizione, anche all’isolamento più silenzioso e doloroso causato dalla pandemia, che cataloga l’umanità in vincenti e sconfitti, in cui predomina l’addizione come concetto esistenziale prioritario e mai quello della sottrazione. Come se sottrarre corrispondesse a una diminuzione di importanza, mentre qualsiasi filosofia di sopravvivenza nella vita insegna l’esatto contrario, ovvero ad alleggerire i pesi, a eliminare cose inutili, a moltiplicare tutte le nostre sottrazioni con lo scopo di ottenere un riscontro positivo dagli effetti benefici.

È dunque questo il tessuto tematico che pervade Meno Per Meno e su cui prende forma, contraendosi e dilatandosi all’occorrenza, la sensibilità scritturale di Niccolò Fabi, di un cuore che si accende solo in salita, abituato a tirare l’aratro e non mollare mai, che affronta questo viaggio di sola andata sapendo che non potrà mai sfidare il tempo e che la sua condanna (la condanna di tutti) è andare oltre le cicatrici e le vulnerabilità.

Probabilmente, la vera sfida di ogni individuo è quella di provare a invecchiare con dignità, rievocando il ricordo di quando l’emozione era una sorpresa, ma consapevoli che non si vive di soli inizi, di eccitazioni da prima volta, di matite sempre intere. Niccolò Fabi vuole semplicemente dirci che in mezzo alle partenze e i traguardi c’è tutto il resto, giorno dopo giorno, tra l’attesa e il suo compimento finale.

Nonostante la nostalgia dei giorni andati e la sensazione di sentirsi orfani di cose che non verranno mai più restituite, bramiamo ancora uno slancio, fosse anche l’ultimo, che ci riporti in alto con ali nuove: magari una cometa da seguire, oppure un maestro da ascoltare. D’altronde, non è mai troppo tardi per rialzarsi e ricominciare daccapo, a patto di conservare sempre una memoria e una prospettiva.

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