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Negrita: Helldorado

Il seguito musicale di L’Uomo sogna di Volare. Potrà non piacere a chi amava il loro rock, ma è da Cambio che incitano alla rivoluzione e ora i Negrita continuano a farlo con energici ritmi latini

Negrita

Helldorado

(Cd, Black Out, 2008)

rock, patchanka

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Recensione in due parti, la prima piuttosto personale, dove predomina la delusione e la nostalgia, la seconda invece è critica, dettata dall’apprezzamento per una band che non rinuncia a fare denuncia sociale usando le sonorità musicali più attinenti.

Dunque, ho sentito pareri in giro su questo ottavo album (considerando anche il mini Paradisi per Illusi) che pendono quasi tutti dalla parte del pollice verso. La maggior parte dei fans che conosco recrimina per il totale abbandono della strada rockettara della band aretina, che dopo Radio Zombie ha preferito esplorare nuovi linguaggi musicali multiculturali diventando di fatto un’altra band, a metà tra i Modena City Ramblers e Mau Mau nostrani o i Manonegra e Les Négresses Vertes.

Helldorado è l’evoluzione di L’Uomo Sogna di Volare, disco con contaminazioni afrosudamericane, ritmi solari e testi impressi di forte critica sociale. Non avessero una storia rock alle spalle sicuramente l’album sarebbe apprezzato maggiormente da me e queste persone, perché le sonorità e le parole usate sono di un certo spessore, ma il loro passato pesa decisamente come un macigno. E’ un peccato persino sentire Drigo, uno dei più apprezzati chitarristi italiani, essere ridotto ad un poster da parete, senza più quegli assoli bellissimi che ti lasciavano qualcosa nello stomaco.

Eppure i Negrita versione barricaderos non dispiacciono, perché il loro valore musicale è comunque ben riconosciuto, e hanno il pregio di scrivere canzoni che non sono mai una uguale all’altra, riuscendo a importare al pubblico italiano un genere musicale che narra con percussioni e chitarre acustiche i drammi collettivi, rimanendo più che onesti nel cambiare direzione musicale sfogando ancora la loro rabbia conosciuta in Cambio, urlandola con l’ausilio di sonorità differenti.

Il nuovo album, lanciato dall’unico brano old stile dei Negrita Che Rumore fa la Felicità, si sparge nell’etere attraverso Radio Conga bonghi e chitarre, in cui si capisce dalle prime battute che è un disco carico di energia, ma non “fottutamente rock” come ho sentito da qualcuno troppo esaltato da questo lavoro. Il Libro In Una Mano, La Bomba Nell’Altra narra di bambini che devono mettere da parte la loro infanzia per sopravvivere in terre bagnate dal sangue della guerra e della miseria, e i Negrita non risparmiano i falsi cristiani e le loro contraddizioni. Nel Ballo Decadente citano Rino Gaetano irridendo il disastro di cui versa il nostro Stivale, in Salvation inneggiano alla Rivoluzione come vera forma di cambiamento per sradicare il fango in cui stiamo annaspando. Insomma, Negrita e la Revolution…

Gli Aretuska si affacciano in Muoviti, hanno collaborato alla realizzazione dell’album anche gli argentini Bersuit e La Zurda, mentre Roy Paci lo ritroviamo in Gioia Infinita, un reggae latino imbottito di trombe dedicato ai musicisti che hanno conosciuto lungo la loro carriera musicale. Infine Brother Joe è un omaggio alla musica di Joe Strummer e i suoi Mescaleros, più che i Clash.

Da L’Uomo Sogna di Volare abbiamo i Negrita versione 2.0, possiamo dire, ovvero quel bellissimo gruppo emergente di Arezzo che dopo 6 album ha cambiato drasticamente direzione senza dimenticare le proprie radici di riot band. Sarebbe più onesto chiamarli con un altro nome per non rimpiangere spesso il passato, ma se il loro accumulo di esperienze musicali li porta a non incollarsi le etichette, evolvendosi mescolando diversi stili, continuando ad esprimere rabbia e ad incitare al cambiamento, questo e altro, sperando che un giorno riprendano a suonare il loro vecchio bastardo rock.

Insomma, Helldorado è un album fatto col cuore e lo si sente, complimenti e pacche sulle spalle. Spero solo che non facciano un viaggio in Asia la prossima volta, perché non vorrei che si mettessero a suonare il sitar. Del resto il loro nome l’hanno preso da una canzone dei Rolling Stones, cristo santo…

 

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Luca Paisiello
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