Nadar Solo
Semplice
(Tirreno Dischi)
indie rock
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Dopo il successo di Fame che ha accresciuto la popolarità del trio torinese, e una candidatura al Premio Tenco, i Nadar Solo hanno cambiato batterista e sono tornati di nuovo in scena con il loro quinto album, Semplice. Le aspettative su questo nuovo lavoro dei Nadar Solo dopo gli importanti risultati ottenuti con il precedente disco erano particolarmente alte, date le loro collaborazioni con Perturbazione, Levante, Tre Allegri Ragazzi Morti, Il Teatro degli Orrori e Zen Circus.
La band non poteva che fare tesoro di tutte queste esperienze e seguire un percorso artistico ancora più fiammante, al pari di questi artisti. Sono riusciti a dimostrare di saperci stare senza subire alcuna pressione, scegliendo di prodursi questo disco nei tempi necessari per fare un buon lavoro. La nuova opera dei Nadar Solo non deluderà le aspettative di chi li segue da sempre, perché hanno sfornato undici pezzi che proseguono il percorso iniziato nel 2007, che nel corso del tempo ha portato il gruppo ad una maturazione artistica e tecnica, soprattutto per merito della produzione del chitarrista Federico Puttilli.
Marco ha un’apertura ruggente con il chiaro intento di “un disco che non deve aver paura di fare cattiva figura”. Il ritmo è ben sostenuto nella prima traccia, con una chitarra distorta quanto serve, un basso incalzante assieme alle pelli di Daniele Dissimile, nuovo membro della band che sembra essersi integrato perfettamente nel gruppo. Subito dopo il pianoforte di Aprile crea immediatamente un’atmosfera dolcissima trascinata dalla voce di Matteo De Simone, mentre il ritmo veloce di Diamanti e tanta compressione in Cattivi Pensieri permeano le canzoni con sonorità orecchiabili soprattutto grazie alla scrittura trascinante di Matteo.
Quando arriva la title track si comprende che i brani avrebbero più “sangue” se non fosse per questo smorzare i toni nei brani che per natura potrebbero risultare molto più rock, né è l’esempio il breve riff dopo il secondo ritornello che risulta addolcito a contrasto dell’incessante ritmo delle ottave. Tuttavia di rock se ne sente abbastanza nel disco, è chiaro che la loro direzione è sempre stata tendente al pop piuttosto che al punk e per indole l’impronta cantautorale dei Nadar Solo rimane la stessa di sempre, affascinante, emozionante, primaverile.
Proprio per questo nel disco si fa uso di pianoforti e sintetizzatori, che nel tour saranno suonati da un altro cantautore torinese, Daniele Celona, il “quarto Nadar” amico di sempre che ricambia il favore dato che gli stessi Nadar hanno prestato i propri strumenti per il suo tour. Un disco onesto, che sa graffiare ma anche cullare in questo autunno che rispecchia l’immaginario cantato da Matteo De Simone in “Semplice”. Un disco anche corto nella sua durata sotto i 35 minuti, ma talvolta bastano poche parole e poche canzoni per condividere quello che si ha dentro.
Intervista a Matteo De Simone – Nadar Solo
RockShock. Nell’ultimo vostro disco, “Semplice”, c’è un grosso lavoro di arrangiamento, segno di un percorso diventato ancora più autorale, quello dei Nadar Solo.
Matteo De Simone. Sono cambiate tante cose per questo ultimo disco. Considera che il primo album l’abbiamo prodotto interamente da soli, da “Un Piano per Fuggire” fino a “Diversamente, Come?” per tre album siamo stati in Massive Arts, l’etichetta di Milano che ha avuto il pregio di aver finanziato tutto, ma dovevamo lavorare con tempistiche molto ristrette. Si aveva una settimana per registrare in studio e poi ancora un’altra di mixaggio e non avevi fatto in tempo a metabolizzare quello che avevi fatto, questo ci pesava tanto. Questa volta per tante ragioni non umane ma di altri calcoli che ci siamo fatti abbiamo deciso di staccarci da Massive e ci siamo detti “Ce lo facciamo noi, e vediamo dopo come pubblicarlo”. Avevamo un’idea di massima di quando ci sarebbe piaciuti uscire, speravamo di riuscirci nel 2016 e ce l’abbiamo fatta, ma non sarebbe successo nulla se uscivamo nel 2017. L’importante era farlo bene e poi è andato via Alessio Sanfilippo che è stato con noi dal tour di “Un Piano per Fuggire”. In questo caso non avendo più Alessio alla batteria e con Andrea Dissimile che ora vive a Gallarate e non poteva essere con noi durante la stesura dei brani, sostanzialmente abbiamo fatto tutto a casa. Federico registrava le basi e me le mandava, io mettevo giù i testi a parte tre brani che ho scritto interamente io, e ci rimbalzavamo in questo modo le canzoni facendo delle osservazioni, rimandandoci i pezzi per poi chiuderli. Abbiamo preparato questi provini con l’idea di entrare in studio con i brani già finiti rieseguendo e registrando tutto meglio che potevamo, avendo avuto modo di metabolizzare nel corso dei mesi le scelte fatte. Siamo arrivati completamente consapevoli di essere sicuri di quello che facevamo. E quindi come dicevi tu il processo ha permesso di diventare più cantautorale perché mi sono concentrato maggiormente sul testo. Questo ha permesso di far uscire in maniera più equilibrata e matura le due anime del gruppo, la mia e quella di Federico.
RS. In “Semplice” raccontate storie che gravitano attorno alla vostra vita in maniera così naturale.
MDS. Scrivo tutti i testi dei Nadar e tendo molto a rifarmi alle esperienze che faccio nella vita, per questo tendo a non scrivere tantissimo. Io ho un rapporto conflittuale con la musica, la produzione, con la scrittura perché mi stressa molto e quindi cerco di starne il più possibile lontano. Questo fa sì che viva molto più calato in una vita da non musicista per la maggior parte del mio tempo, quindi a contatto con la mia compagna, i miei amici. Mi sono sempre circondato il più possibile di persone che non fossero musicisti perché intanto mi fa sentire più a mio agio, e in secondo luogo mi permette di capire meglio la vita. Non voglio sembrare presuntuoso, ma amo vivere intensamente in maniera diretta tutte le cose, e quando arriva un punto in cui gli stimoli e i sentimenti che si agitano dentro sono incontenibili, ecco che escono fuori le canzoni. Successivamente arriva anche un approccio più intellettuale per cercare di esprimere le cose nella maniera più universale possibile in modo che i contenuti siano più comprensibili e condivisibili per tutti. Ma tutta la fase che viene fatta prima è nutrimento attraverso l’esperienza della vita, anche perché altrimenti credo che avrei ben poco da raccontare. Scrivere queste canzoni in questa maniera non è venuto in automatico, mi sono reso conto che ho iniziato a scrivere così dal terzo disco perché mi erano successe delle cose a livello personale che hanno dato una svolta alla scrittura, che prima era molto più basata sugli spunti musicali, dove avevi l’idea sonora figa e ci scrivevi un testo sopra. Anche se non avevi niente da dire ti sforzavi e ci provavi. Se tu senti “Un Piano per Fuggire” o il primo disco la maggior parte dei testi sono molto criptici. Da “Diversamente, Come?” l’approccio è cambiato così come l’attenzione del pubblico e della critica.
RS. Il vostro primo lavoro è datato 2007, è passato quasi un decennio, come si è evoluta la vostra musica nel tempo?
MDS. Essendo fondamentalmente abbastanza convinti di quello che ci piace, ci siamo evoluti poco per volta. A parte il primo album che era strano perché raccoglieva brani di quando eravamo piccolini, dal secondo in avanti abbiamo fatto dischi abbastanza simili con un tratto d’identità molto chiaro e molto forte che è rimasto intatto nel tempo. Probabilmente ogni volta abbiamo cambiato qualcosina a livello di scrittura, soprattutto dei testi. Il mio tentativo è stato quello di andare sempre di più verso un’idea di semplicità ed essenzialità, mantenendo una profondità di contenuti, cercando di essere sempre più comprensibili e di fare in modo che chi ascolta possa fare propri i contenuti, capirli e sentirsi dentro le canzoni in maniera facile, senza dover fare troppi sforzi. Noi siamo affezionati ad un mondo rock anglosassone e sicuramente il fatto che Federico sia cresciuto molto come chitarrista, come arrangiatore, adesso come produttore, fa sì che “Semplice” abbia raggiunto un livello di maturità superiore rispetto ai precedenti lavori, anche per il fatto che abbiamo potuto lavorare a questo album comodamente da soli in uno studio nostro senza pressioni, prendendoci tutto il tempo che ci serviva senza avere nessuno che ci corresse dietro. E questo qualitativamente fa bene alla propria produzione.
RS. Sono passati molti anni dal primo disco e nonostante qualche abbandono lungo il vostro percorso siete rimasti ancora insieme. Come si riesce?
MDS. Abbiamo trovato il nostro modo per convivere, ci sono tante cose l’uno dell’altro che dopo tanto che stai assieme danno fastidio, si impara a gestirle senza pestarsi i piedi, d’altra parte ormai c’è un affetto cementificato negli anni che come nei matrimoni consente di restare insieme, nonostante tutte le difficoltà. E poi un rispetto di fondo, che non è mai mancato, che ci consente di far rimanere alta la stima reciproca. I Nadar Solo si conoscono da tanti anni, in realtà il nostro percorso è iniziato “veramente” da circa cinque anni, già grandicelli, a far le cose sul serio. Ad un certo punto ci siamo detti “O la prendiamo sul serio provando a combinare qualcosa, oppure ci sciogliamo”, avevamo ormai 30 anni quando nel 2011 abbiamo provato a fare un tour come si deve, seppur rocambolesco, scoprendo che c’era modo di andare avanti. E siamo ancora qui. Da un lato abbiamo rinunciato a tantissime cose per la musica, soprattutto lavorative. Potremmo avere lavori stabili e sicurezze economiche, ma abbiamo pensato che la musica fosse più importante, avevamo voglia di fare questo percorso, ci apparteneva, volevamo crescerci, volevamo provare a vedere se riuscivamo a farne un mestiere. Non ci siamo ancora riusciti del tutto, abbiamo ancora una piccola economia che gira attorno a questo progetto, ma è ancora molto molto piccola.
RS. Capita mai che i fans vogliono a gran voce i vecchi brani e tu magari non hai tutta questa voglia di cantarli?
MDS. Qualche pezzo abbiamo deciso di non farlo più, a volte il nostro pubblico ci rimprovera perché sono brani che non ci vengono più tanto bene. Sui fondamentali, quei brani che sappiamo che veniamo fucilati se non li facciamo, cerchiamo di essere corretti, è giusto che il pubblico che viene a sentirci sia gratificato. Su altri che non abbiamo voglia di fare non li facciamo e basta, sappiamo che il pubblico preferirebbero risentirli ma a noi non ci vengono bene, non abbiamo avuto tempo per provarli, non abbiamo voglia e allora pazienza, facciamo altre cose. Penso sia importante andare dal vivo e suonare canzoni che ti rappresentano ancora, per esempio siamo contenti di “Maggio Giugno Luglio” che però non abbiamo più voglia di fare da un po’, e ogni volta sentiamo dire “Ma perché non la fate mai?”. Purtroppo non rappresenta quello che sentiamo adesso, per fortuna abbiamo altri brani che il nostro pubblico ama cantare. Più aumentano i dischi più devi lasciar fuori qualcosa, del primo album non ne parliamo più, ma sono già quattro dischi, capisci, da 11-12 brani l’uno. Quindi le canzoni diventano tante, e la scaletta deve averne massimo 18 e diventa davvero un casino accontentare tutti, no?
RS. Cosa apprezzi di più di questo disco, vedendolo da fuori ora che l’avete sfornato dopo tanto lavoro?
La cosa bella di “Semplice” è che davvero il sentimento che c’è dietro è un sentimento molto pulito e molto libero. Poi se le cose dovessero arrivare, bene, però contenti che siamo riusciti a fare un disco come volevamo, siamo liberi contrattualmente, non abbiamo vincoli di nessun tipo, siamo proprietari delle nostre canzoni, del master, non abbiamo dato l’edizione a nessuno, e questo mi rilassa moltissimo. Abbiamo di fronte un sacco di date, la prima è stata bellissima a Bra, c’era un sacco di gente che cantava a squarciagola, suoniamo ininterrottamente fino a gennaio, cosa voglio di più? Sono contento.
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