M.I.A.
Maya
(Cd, N.E.E.T.)
electro, hip-hop, world music
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O è una pazza o è un genio. Questo è quello che si pensa quando ci si imbatte in M.I.A., al secolo Mathangi “Maya” Arulpragasam, cantante, artista, attivista politica e chi più ne ha più ne metta. Un talento eclettico, abbinato a un’indole anarchica e sovversiva, fanno di M.I.A. un personaggio decisamente sopra le righe che non ama le vie di mezzo e che porta ai massimi estremi tutto ciò che fa. Dopo due dischi venerati dalla critica e dal pubblico, Arular e Kala, M.I.A. torna con un nuovo lavoro, Maya, in cui continua a riversare la sua deflagrante e incontenibile creatività.
Tutto quello che fa M.I.A. in questo disco è prendere ciò che è kitsch (melodie di pop zuccheroso, vocalizzi bollywoodiani, ritmi disco) e sporcarlo attraverso suoni disturbanti e stridori elettronici, rendendolo così inaspettatamente attraente. Per rendersene conto basta ascoltare XXO, brano pop, con un ritornello cantato da una vocina leziosa del tutto simile a quella di Britney Spears, ma importunato da ruvidi rimaneggiamenti sonori. Allo stesso modo, Story To Be Told è giocata sullo stridore tra una piagnucolosa nenia di Bollywood e dei suoni chimici e arrugginiti.
Un altro brano impostato su un registro pop è Tell Me Why, reso insolito dagli sprazzi di world music, contenuti nei cori africani rimaneggiati al computer, mentre It Takes A Muscle è un reggae semplice e rilassato, sempre imbastardito da suoni modificati e distorti. Anche i pezzi più tranquilli e lenti sono abbelliti da punte di stravaganza, come Space e It Iz What It Iz,oppure come Beliver, un r&b futuristico e sensuale con una venatura morbosa.
Ma i veri colpi di genio sono contenuti nei brani più violenti e cacofonici, ai limiti dell’ascoltabiltà. Born Free è una fucilata di suoni fracassoni e grida riverberate, mentre Meds and Feds è irresistibile grazie a un ruvido e sporco riff di chitarra che emerge dagli computerizzati e dalla batteria disco.
Genio e sregolatezza, caos ed eccesso. Maya è una tela sonora dove le pennellate di suono si affastellano l’una sull’altra e riescono stranamente a trovare un loro assurdo equilibrio.
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