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Metallica: Death Magnetic

Dopo cinque anni di spasmodica attesa, i re incontrastati del thrash metal tornano a ruggire. [i]Death Magnetic[/i] rappresenta un parziale ritorno alle sonorità più classiche, ma basterà questo per riconquistare i propri fans?

Metallica

Death Magnetic

(Cd, Warner Bros, 2008)

metal

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Cinque anni, tanti sono passati dall’ultima uscita discografica dei “nuovi” Metallica (quelli con Trujillo al basso per intenderci). Cinque anni in cui ci si interrogava sul se e soprattutto sul come Hetfield e soci sarebbero tornati a farsi sentire dopo il fiasco totale del precedente St.Anger.

Le prospettive della vigilia e soprattutto le dichiarazioni della band stessa non hanno fatto che creare, specie negli ultimi mesi, aspettative forse fuori luogo ma che comunque non hanno fatto che riaccendere i cuori dei fans di vecchia data.

E così ecco Death Magnetic un album che varrà molto all’interno della discografia dei Metallica, in quanto rappresenta il ritorno ad un certo tipo di sonorità che ben lungi dall’essere paragonabili alle pietre miliari dei nostri, rappresenta comunque senza ombra di dubbio il miglior parto dal 1991 (anno di uscita dello storico ma già controverso Black Album) ad oggi.

74 minuti di durata (troppi) in cui la band a stelle e striscie “affila” le proprie armi. Riffing tagliente, ripartenze improvvise, e tanti assoli. Ed è probabilmente proprio quest’ultima variazione la chiave di svolta dell’album visto che nel precedente erano completamente assenti.

Sia chiaro che non mancano riferimenti al periodo più “rock-oriented” dei nostri, ma il tutto viene riletto in una chiave aggressiva che rilancia e dona nuovo vigore ad una band che sembrava ormai morta e sepolta.

Album che vive di momenti esaltanti purtroppo inframezzati da qualche piccola caduta di stile. A brani rocciosi ed imponenti del calibro di That Just Want Your Life o Cyanide fanno infatti da contraltare episodi in cui la tensione cala un pò troppo, riminiscenze chiare non ancora eliminate dei Metallica più melodici, vedasi in tal senso The Unforgiven III, che continua la storica saga avviata nel ’91 e che rappresenta un brano insipido, oltremodo mieloso, e penalizzato da un’intro di pianoforte che si poteva evitare ed il cantato ultra-melodico di Hetfield.

Hetfield che ha affinato notevolmente la sua ugola da un punto di vista stilistico, ma che proprio per questo perde quella che è la carica originaria delle sue interpretazioni. Al basso poi non c’è più Newsted ma Trujillo e questo, purtroppo, si sente.

Ma sono dettagli che per quanto importanti non possono comunque penalizzare troppo un lavoro comunque discreto e che soprattutto ha il merito di riconsegnarci una band storica che lascia importanti segnali di vita.

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Luca Di Simone
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