AA.VV.
Memphis The Musical – London cast recording
(First Night)
soul
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Cosa passa veramente per la testa di un rocker quando le luci del palco si spengono e i fan adoranti abbandonano lo stadio lasciandolo in una camera di hotel lussuosa ma spoglia in compagnia della sua solitudine? Da dove nasce la sua ispirazione? Domande difficili a cui rispondere. Da qualche anno David Bryan si è prestato al musical, un genere molto lontano da quello dei suoi Bon Jovi. E lo ha fatto nel migliore dei modi visto che la sua ultima creatura (ma sta già lavorando alla prossima), Memphis, ha trionfato nel 2010 ricevendo addirittura 4 Tony Awards (gli oscar dei musical) tra cui quello per il best musical. E, dopo anni di repliche negli Stati Uniti, lo scorso ottobre è sbarcato nel Vecchio Continente, in quel di Londra, dove accaparrarsi un posto in platea allo Shaftesbury Theatre per i mesi a venire è davvero impresa delle non più semplici.
Ma niente paura, anche rimanendo comodamente seduti sulla poltrona di casa sarà possibile godersi le atmosfere soul dei ’50 americani. Proprio in questi giorni, infatti, è uscito il CD con le registrazioni del cast londinese prodotto dallo stesso Bryan, che può essere acquistato online. E ne vale veramente la pena.
Il CD, che oltre alle 20 canzoni del musical contiene una versione piano e voce di Bryan di Memphis lives in me, è accompagnato da un libretto con i testi di tutte le canzoni dello show che si snoda pressappoco così…
Huey Calhoun ha scelto dei vestiti a caso tra quelli buttati alla rinfusa nell’armadio. Fa così ogni mattina. Perché Huey non bada alla forma. E questo lo fa apparire un anticonformista buono agli occhi della madre e un ribelle per tutti gli altri.
Giù sulla Beale c’è una bettola
Si sente il suono di una chitarra blues
Bevo una birra e lancio una monetina nel vasetto del cieco
Appena mette un piede sulla luna gli sguardi si fanno attenti e la sua camicia sgualcita diventa il centro di gravità permanente di un universo disorientato.
Per Huey è normale starsene lì ad ascoltare la bella Felicia cantare le sue melodie tra la sua gente di colore. Ma siamo a Memphis, sono gli anni ‘50, e quella che in tempi più moderni diventerà la “Sindrome dell’altro”, la tendenza al senso di insicurezza dovuta alle diversità nelle apparenze che generano una inquietudine strisciante contro la quale nulla si può se non professarsi a buon titolo e con piena onestà non razzisti, è ancora un muro che l’antropologia sociale e culturale non può neanche solo scalfire. Come sempre più spesso accade, ed è un peccato per fortuna, l’uomo della strada anticipa filosofi ed intellettuali e trova la verità nelle piccole cose e nei piccoli gesti, che diventano a loro modo rivoluzionari.
Il blues risuona soave nell’aria
Come una preghiera della domenica mattina
Ancora un altro drink e Dio sarà dappertutto
Le radio passano musica omologata a go-go, le scommesse sono sospese per un eccesso di puntate su Perry Como e la voce istrionica di Felicia Farrell è destinata a sfiorire nell’oblio.
Il DJ Calhoun naviga fuori dagli schemi con la sua esuberanza, gli outfit strampalati e i dischi che squarciano a fatica le resistenze dei produttori ma infiammano l’etere con i loro ritmi soul facendo evadere in massa le anime inquiete della città, ostaggio di un conformismo bigotto spalmato come burro.
Ho assistito alla rappresentazione di Memphis in più occasioni, prima a New York e poi a Londra, e ogni volta che i telefoni della piccola radio locale squillano impazziti e gli ascoltatori costruiscono la scalata al successo di Huey ricacciando il disappunto euforico del proprietario dell’emittente mi tornano in mente due cose: la scena di Ritorno al Futuro in cui Marty McFly suonava Johnny B. Goode per un pubblico di studenti del 1955 creando scompiglio e ossessione, e i contenuti extra di un vecchio concerto in DVD dei Bon Jovi in cui il tastierista della rockband americana parlava dei suoi progetti futuri raccontando a milioni di fan distratti “sto scrivendo un musical che parla di un DJ bianco che trasmette alla radio musica nera. Ma non ora, nei ’50!”.
Bryan ha firmato tutti i brani, componendone la musica, mentre Joe Di Pietro ha completato i testi e lo script condendolo di battute dal retrogusto agrodolce, di quelle che divertono gli spettatori ma con intelligenza. I due erano già stati coautori di The Toxic Avenger, musical off-Broadway.
E’ un amore impossibile quello tra Huey e Felicia, anche se poi a dividerli non saranno i pregiudizi bensì l’ansia di successo, ma questo è un tema nel tema. Rispettivamente interpretati dal brillante irlandese Killian Donnelly (The Phantom of the Opera, The Commitments) e dalla regina del soul inglese Beverley Knight (The Bodyguard), i due protagonisti sono circondati da un cast di caratteristi stupefacente, tra cui spiccano il protettivo fratello di lei interpretato da Rolan Bell (Doctors, The Lion King) e la madre autarchica di lui Claire Machin (Les Misérables, High School Musical).
Felicia fa venire i brividi e, quando dopo la prima europea ho avuto il privilegio di stringere Beverley per la foto di rito durante l’after-party in un esclusivo locale di Soho, mi sono chiesto –e continuo a farlo!- come fosse possibile che un corpo così minuto potesse esplodere una voce tanto potente.
Huey il clown, che con la sua candida genuinità viola convenzioni sociali che ancora oggi fanno tremare i polsi, è un eroe piccolo, di quelli destinati a fallire anche quando il famigerato quarto d’ora di celebrità di Andy Warhol li colora d’oro per il prime-time, ma che comunque alla fine riescono a conquistare il cuore di tutti.
Ecco perché, quando la sera seguente mi sono ritrovato a mangiare allo stesso tavolo di una coppia black al tavolo di un ristorante pachistano molto cool dalle parti di White Chapel, tra una costoletta d’agnello piccantissima e un succo di mango a fare da estintore per il mio apparato gastrointestinale, continuavo a fischiettare quella melodia senza parole:
Sono solo uno del Tennessee
Non posso essere ciò che non sono
Tutto ciò che so è che Memphis vive dentro me
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