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Maustrap: recensione di Spegni la Luce

Spegni la Luce è il debut album dei neonati Maustrap. Il quartetto vicentino sforna un disco indie rock tutto in italiano dove ogni parola profuma di poesia.

Maustrap

Spegni la Luce

(Soviet Studio)

indie rock, alt-rock, pop

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Se siete amanti della scena indie rock/pop di casa nostra sicuramente ricorderete una band che con un solo album, Pareti Nude, riuscì ad arrivare dritta al punto convincendo appieno pubblico e addetti ai lavori, parlo degli Open Zoe, dissolti in pochi anni come neve al sole; peccato! aggiungo.

Quando sembrava non ci fossero più speranze di poter ritrovare quel nucleo composto da musicisti di grande esperienza provenienti da altre realtà più o meno conosciute e prolifiche, sbuca fuori un nuovo progetto, i Maustrap (trappola per topi) dove militano i tre quarti proprio di quella band, Enrico Ceccato (batteria), Ettore Craca (basso), Lele Mancuso (voce/chitarre/tastiere/programmazioni) insieme ad Ale Riello, nuovo acquisto alle chitarre.

Spegni la Luce, uscito su Dischi Soviet Studio, è il loro disco d’esordio che colpisce soprattutto per i testi (scritti e cantati rigorosamente in italiano), profondi, nostalgici, introspettivi, dedicati in gran parte all’inesorabile scorrere del tempo ed alle infinite elucubrazioni mentali di contorno.

Un album e una band nati durante il lockdown, in cattività, è una trappola per topi quella in cui convivono eleganza, malinconia, rassegnazione e desiderio di rivincita tradotte, con grande maturità artistica, da un’alternanza di melodie e atmosfere diverse e difformi capaci di spaziare, con invidiabile disinvoltura, dall’alt rock alla new wave italica degli eighties, dal pop d’autore fino a lambire i versanti assolati del reggae.

Per citare la band è “una gabbia di suono tra chitarre gravide, tasti ostinati, loop di tamburi, bassi di cemento intorno ad una voce che prova a restare a galla mentre l’onda arriva”.

La poesia delle liriche vergate da Lele Mancuso annovera concetti preziosi, squarci di immenso, descrizioni disarmanti, acquerelli pastello e ombrosi presagi dove trovano spazio citazioni colte, da Dostoevskij con le sue Memorie dal sottosuolo (Maustrap) al poeta ferrarese Corrado Govoni (Malenica) al mai dimenticato Andrea Pazienza (quanto ci manchi geniale Paz) mentre gli arrangiamenti e le linee vocali, pur mantenendo una lodevole originarietà di fondo, riportano alla memoria band come La Crus, Perturbazione (Masquerade), Afterhours e persino Marlene Kuntz nell’intramuscolo Un’Estate.

Tra le dieci tracce incluse emergono senza dubbio l’ariosa leggerezza di Sera, il mood  sincopato di Non Vorrei Crepare, la splendida title track dal deciso sapore wave dominata da un giro di basso killer e centratissime ripartenze, la trascinante Amarcord arrampicata su un loop frame di One Hundred Years dei Cure per annegare in una bolla armonica nella quale strumenti e voce si fondono in un arrangiamento corposo e tondo (chitarra da brivido),  infine Malenica, la mia preferita, Lele declama i versi tratti da Le Cose Che Fanno La Domenica di Corrado Govoni con un’intensità senza pari (il pensiero vola inevitabilmente al maestro del genere, Emidio Clementi), spiazzante l’apertura clamorosa a due minuti dall’inizio che in un battito di ciglia cancella, o quasi, quanto ascoltato fin qui.

“Spegni la luce, siamo uomini del sottosuolo, talpe in trappole per topi, talpe nelle trappole sbagliate” scrivono i Maustrap e noi, seguendo il loro consiglio, spegniamo la luce per gustare appieno questo bel disco di debutto.

 

https://facebook.com/Maustrapped/

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