Matthew Herbert
There’s me and There’s You
(Cd, Accidental Records, 2008)
avant jazz, elettronica
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Non occorreva un nuovo album per scoprire la genialità musicale che alberga in Matthew Herbert, ma There’s me and There’s You si rende necessario per rimarcarne le capacità compositive e per togliere di mezzo i residui scetticismi.
Il lavoro svolto con la sua Big Band ha veramente dell’incredibile, perché la musica che Herbert sviluppa coniuga verbi appartenenti a lingue diverse, tanto è che le dodici tracce di questo lavoro si muovono, o meglio oscillano, tra jazz, campionamenti d’ogni genere, classicismo e modernità estrema.
Da uno che fa musica attenendosi a un personale codice compositivo (il PCCOM, acronimo di Personel Contract for the Composition of Music) ci si potrebbe attendere un po’ di rigidità, invece Herbert usa la tecnologia a suo vantaggio e non ne rimane mai schiavo, fino a creare costantemente le premesse per il colpo del fuoriclasse, che arriva a cambiare le carte in tavola quando meno te lo aspetti.
Archi e fiati danno forza alle atmosfere jazzy in bianco e nero, gli ostinati techno fanno da elemento di disturbo, lunghe pause s’alternano a sontuose partiture; il tutto s’incastra in un puzzle pop d’alto rango e avanza trascinato dalla voce di Eska, l’elemento sul quale Herbert ha deciso di puntare forte. E la vocalist londinese non delude, riuscendo nella non facile impresa di fondersi nelle trame di There’s me and There’s You ingentilendone i tratti fino a rappresentare l’estetica, il segno tangibile.
Meno sorprendenti le tematiche politiche che si poggiano sulle sue composizioni: la guerra in Iraq, la religione, i media e gli abusi del potere sono messi, come di consueto, sotto il suo microscopio critico.
Musicista geniale, dicevamo, e il bello, con tutta probabilità, deve ancora venire.
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