Conosciuto anche per i suoi alias Audion, False, JabberJaw, Matthew Dear arriva in Italia per presentare il bellissimo album Black City, quarto album su Ghostly International, etichetta di cui è anche il co-fondatore.
Celebrato da Pitchfork per il singolo Dog Days, estratto dal disco di debutto e considerato come una delle migliori canzoni del decennio, nonché operoso in fase di remix con artisti del calibro di XX, Charlotte Gainsbourg e Hot Chip, Dear ci conduce nella sua Black City, location oscura quasi “Burtoniana”, dove geniali vibrazioni elettroniche e torbidi esperimenti vocali, si mescolano perfettamente in un caldo e avvolgente magma sonoro, quanto mai affascinante. Con “Black City” Matthew raccoglie quanto seminato in questi anni, presentando il suo lavoro più maturo e completo.
Sensuale, decadente, inquietante: non sono questi di solito gli aggettivi che finiscono coll’essere associati alla minimal techno, ma Matthew Dear pare nato per sfuggire a ogni forma di categorizzazione e, soprattutto, per ampliare i confini di ogni terreno sonoro che finisce col percorrere. Texano ma ben presto trasferitosi in Michigan, trovandosi così a stretto contatto con gente come Richie Hawtin o i padri detroitiani della techno, fin dai primi anni del nuovo millennio Dear è stato unanimemente inserito nel ristretto novero dei fuoriclasse. Questo grazie a brani epocali come “Mouth To Mouth” (uscito sotto l’alias Audion) o “Dog Days”, e grazie ad una capacità unica di disegnare uno strano, morboso filo rosso in grado di collegare certo pop di matrice dark-wave con lo scorrere implacabile del digitale più futurista.
Ogni anno che passa il suo arsenale sonoro non fa che arricchirsi: coi suoi due ultimi album, “Asa Breed” del 2007 e ancora di più il recente “Black City”, il suo tocco sinistramente sensuale ha raggiunto infatti sfaccettature davvero affascinanti, in grado di percorrere anche la forma canzone più tradizionale senza perdere nulla in carica emotiva così come di controllare sempre – con un tocco che è davvero alta scienza – il pulsare del groove ritmico. Ricetta che a maggior ragione diventa da non perdere nella versione live, quella da lui preferita, dove può andare oltre i canoni mille volte percorsi di un dj set per insistere invece sulle mille sfaccettature del fattore umano, quello che vedo musicisti assieme a lui su un palco e lui pronto a giocarsi le mille scale di una tonalità emotiva che abbraccia i Joy Division tanto quanto Richie Hawtin.
16 dicembre 2010 – Torino – TBA
17 dicembre 2010 – Roma – Brancaleone
18 dicembre 2010 – Milano – Tunnel
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