Materiali Resistenti
Carpi, 25 aprile 2010
live report
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“Domenica dal palco ho visto sguardi diversi, si vedeva gente felice, ma non di quella contentezza che ho visto in altri luoghi, altri concerti. Ho visto solo l’entusiasmo di essere, una volta tanto, parte di un gruppo senza i mali di quasi tutte le moltitudini italiane.”
Così Corrado Nuccini dei Giardini di Mirò, a mente fredda dopo la festa di liberazione – da tutto, forse, non solo dal fascismo – sei mila facce impresse, seimila bandiere senza bandiere, seimila persone in piazza Martiri a Carpi: Materiali resistenti, versione 2010. Giornata di concerti recita il volantino, e commuove. Commuove Germano Nicolini, non musicista, ma partigiano, silenzio assoluto.
Si comincia. Gli Offlaga Disco Pax, con Sensibile aprono le coscienze antifasciste con Giusva Fioravanti fischiato appena nominato, mentre una danzereccia Roberspierre mai avrebbe potuto essere più appropriata in un contesto del genere, a poche centinaia di metri la vera via Lenin. E poi la sorpresa: Allarme, cover dei CCCP, incestuosa e liquida, sa di ricordi amari, mira proprio al cuore, Max Collini recita fermo e amaro mentre l’ospite Massimo Zamboni gingilla come fosse il 1984, anno di grazia del P.C.I.
I Giardini di Mirò finalmente, tra pugni alzati e schiaffi post – qualcosa rincorrono e ci stupiscono con Bufera, la cosa italiana più intima di questo 2010: “sangue del nostro sangue, è sangue di tutti” così comincia, svenimenti.
La cosa più ambigua e sghemba di Materiali Resistenti numero 2 sono stati sicuramente i Tre Allegri Ragazzi Morti, non si capisce dove vogliano arrivare con questo ritmo dub – dance – reggae friulano, soporifero eppure intrigante, ci fidiamo, e dal vivo poi sembrano già rodati.
Incisivo e breve – come tutti i concerti, mezz’ora scarsa per ogni gruppo – l’unica delusione della serata è la prova de Il Teatro degli Orrori. Una vertiginosa Padre Nostro con un Capovilla alticcio il giusto, già affaticato e senza voce. I soliti inni sfilano uno dopo l’altro con il frontman che, come al solito, inveisce contro tv, fascisti e chissà cos’altro. E poi la tanto attesa Compagna Teresa, furiosa, dedicata a tutte le staffette ventenni di questo pomeriggio, giovani che guardano indietro, a ben ragione. Non finisce mai questo lampo versione canzone, una coda noise infinita, e tutti se ne vanno. Capovilla esce solo, ringrazia, si inchina, commosso.
Tutti lo chiamano Diavolo! Diavolo! Diavolo! E lui ride ma se ne va contorto e dispiaciuto. Parte Bella Ciao: sul palco nessuno la suona, di sotto tutti la cantano. Da ripetere. Ce ne vorrebbero, anche solo per respirare.
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