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Marsala: recensione disco omonimo

Marsala è un disco dark ambient, la simbiosi armonica tra uomo e macchina, attraverso un tappeto sonoro ipnotico e ammaliante. La connessione tra la quiete apparente dei nostri lati più oscuri ed il caos industriale della vita in superficie.

Marsala

s/y

(Wallace Records/Brigadisco Rec/Dreamingorilla Rec)

dark ambient 

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recensione marsalaNoi possiamo parlare di suoni pesanti, massicci, oscuri, oppure all’opposto di suoni rarefatti, evanescenti, trasparenti. Queste descrizioni, in sintesi, poggiano sulla nostra immaginazione, dove vicinanza e lontananza diventano concetti relativi, senza più alcun significato reale.

Così si presenta Marsala, il debut album visionario di quasi 50 minuti del polistrumentista Andrea J. Marsala, pseudonimo di Andrea Bordoni, musicista proveniente da Lodi, Lombardia, ex componente della band noise rock The Rambo. 

Marsala è un disco dark ambient, la simbiosi armonica tra uomo e macchina, che si sviluppa attraverso un tappeto sonoro ipnotico ed ammaliante, che trae ispirazione dalle austere sonorità elettroniche teutoniche di Stockhausen, dei Faust e Popol Vuh, passando per il magnetismo animale dei Dead Can Dance, senza dimenticare le atmosfere dal fascino gelido e notturno che ricordano quelle nordiche dei Burzum di Varg Vikernes.

In quest’album, Andrea Bordoni suona tutti gli strumenti, nel suo progetto self-made fatto di sintetizzatori, loop station, drum machine, grazie ai quali ci dà la possibilità di affrontare un viaggio spirituale e sintetico, che richiama alla mente paesaggi spettrali, rurali e malinconici.

Il sound di Marsala è rafforzato da un ripetersi incessante dello stesso schema musicale, che sprofonda nella sua oscurità, creando una melodia che forse neanche esiste, ed un trip psichedelico con accorgimenti quasi impercettibili.

Slipping into the Flesh, il brano che apre il disco, ci fa scivolare in una dimensione parallela, crepuscolare, dove i nostri sensi prendono il sopravvento. 

Spazio e tempo sono sospesi, senza gravità, immersi negli immensi vuoti dell’universo, fluttuanti, attraverso le curve sinusoidali noise di Drowning in the Void. 

Le pulsazioni cardiache aumentano all’interno di Wide Open Wound, come una ferita completamente aperta, come quelle nostalgie dolorose che fanno vivere e morire.

La svolta del disco è Streams of Light, quando, all’improvviso, le linee melodiche di Andrea J. Marsala si dilatano, si fanno più distese e ci fanno intravedere una sorgente di luce alla fine di questo tunnel immaginario.

Cala il Sipario con le Ultime Fatiche sulla Via del Ritorno: il suono raggiunge l’estasi robotica dei Kraftwerk in un loop infinito di interferenze e distorsioni, in cui passato, presente e futuro si intrecciano, fino a diventare contemplazione e tranquillità. 

C’è una luce particolare intorno ad alcuni suoni, un effetto sfumato quasi naturale, un alone di mistero innato, ma soprattutto c’è il desiderio di scoprire la connessione tra la quiete apparente dei nostri lati più oscuri ed il caos industriale della vita in superficie.

 

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