Mark Lanegan
Milano, Magazzini Generali, 13 aprile 2010
live report
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All’angolo tra via Ripamonti e viale Toscana aspetto di attraversare le strisce pedonali. Manca un‘ora al concerto. E prima di stasera non ho mai pensato come potesse essere la vita di Mark Lanegan al di fuori del suo essere Mark Lanegan per tutti noi, poveri noi che non abbiamo quella voce, ma che possiamo ascoltarla. Dove vive Lanegan. Forse in un deserto forse in un centro Caritas, forse non vive.
Mi giro ed è dietro di me, Lanegan. È appena uscito da un ristorante. Mi guarda, ma è come se non lo facesse. Lo ignoro, perché non so che altro fare. Lo seguo, arriviamo ai Magazzini Generali. Si susseguono commenti dei passanti: tutti sorpresi nel vederlo vivo, camminante, quasi sorridente, sto esagerando, non ha mai sorriso in tutta la serata, comunque vivo.
Ore 21 e 30, interno notte. Comincia.La sua asta del microfono e poco altro. Accanto un tipaccio con una chitarra in mano, tale David Rosser, farà bene il suo dovere. Tutti noi non ci crediamo nel vederlo nel suo carne ed ossa, pensavo fosse un simbolo, ma apre la bocca e comincia a cantare e la prima cosa che noti, sono le smorfie, né di dolore né di fastidio, sembra quasi rimproverarsi di aver stonato, di aver sbagliato l’attacco, di non riuscire. Invece è perfetto.
La sua voce, la si può paragonare solo all’inferno, non è una frase fatta. Una tipa una volta mi ha detto che assomiglia a una grattugia, la voce di Lanegan. Ti rode, ti sfilaccia, non ti lascia indifferente. Le canzoni si assomigliano tutte, ma tu senti solo la voce, che importa il resto.
La brevità dolce e sgangherata di Bombed, l’aggressività di No Easy Action che ti tira per i capelli, la perfezione di One Way Street sparata alla terza canzone che ti scombussola.
E poi, la scalata vocale e apice assoluto della serata, una On Jesus Program, che ti ripaga di tutto, dei venti euro spesi, e dello scalmanato che ha cantato tutti i pezzi di stasera sul tuo orecchio sinistro, stonando, chiaro. O One Hundred Days, piccola gemma intima che parla di morfina eppure ci risveglia dal torpore.
O la conclusiva Hanging’ Tree, che risveglia dal tunnel, e non finisce mai, e Lui si muove finalmente, quasi ringrazia, pronto per tornare fuori, quasi piove, c’è un parcheggio mezzo vuoto, sono tutti così i giovedì a Milano.
Penso a Lanegan, a dove vive. Forse non vive più nel deserto, forse vive in una casetta nel Conneticut, silenzioso e tranquillo, liberatosi dal male.
Il concerto dell’anno.
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