Marilyn Manson
The High End Of Low
(Cd, Interscope)
rock, industrial, goth
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Eh sì, c’è cascato pure lui. Da parecchio tempo, ormai, Marylin Manson è troppo “Marylin” e poco “Manson”. Troppo gossip, troppe volte sui giornali perché fidanzato con questa o con quella attrice, troppe spesso protagonista di rubriche in cui si mostrano foto che lo ritraggono senza trucco, o che mettono in evidenza le sue supposte calvizie. Ormai non fa più scalpore: la sua carica trasgressiva si è notevolmente smorzata, si è ridotto ad essere una comica macchietta di se stesso, fin troppo inserito in quel rutilante mondo dello spettacolo patinato che lui stesso aveva tentato di scioccare e di far inorridire. Il Reverendo, l’Anticristo? Ora sono solo pallidi ricordi, che affiorano nostalgici nella mente del buon vecchio Brian Hugh Warner. È forse per questi motivi che il nuovo disco, The High End Of Low, costituisce un ritorno alle origini, che però ha più il sapore di stanchezza e di logorio che di un consapevole “back to the roots”.
Le quattordici tracce dell’album scorrono via senza infamia e senza lode, riproponendo i soliti, stanchi stilemi tipici di Marilyn Manson, magari con qualche schitarrata ficcata al momento opportuno, qualche increspatura maledettamente dark della voce che fa sempre un certo effetto, ma niente di più, senza neanche un ritornello ben costruito che resti in mente.
I brani che si salvano sono in effetti ben pochi: Arma-Goddamn-Motherfuckin-Gedon ha un incedere veloce ed inquietante, in cui i lamenti viscerali di Manson vengono tenuti a freno da un ritmo sostenuto; We’re From America è sorretta da una bella chitarrina spigolosa e da un piglio quasi allegro, addirittura poppeggiante, in contrasto con le parole profondamente polemiche. Tra i momenti più lugubri e apocalittici quello che funziona meglio è I Have to Look Up Just To See Hel, che procede in modo abbastanza suggestivo tra rantoli e urletti.
L’album, nella sua deluxe edition, contiene i remix di alcuni brani, come la già citata Arma-Goddamn-Motherfuckin-Gedon e Running to the Edge of the Word. Non sempre i brani sono efficaci, ma è apprezzabile il tentativo di una rilettura dei brani di Manson scarna e sobria, e quindi decisamente lontana dall’originale, nonostante lo spirito decadente rimanga intatto.
Insomma, dopo aver scoperto che sotto quei vestiti in lattice c’è un po’ di pancetta, e che il suo ghigno satanico viene appezzato più dalle attricette che dai metallari, il mito di Marilyn Manson è un po’ decaduto. The High End Of Low, nonostante tenti disperatamente di ricordare a tutti il Manson dei tempi d’oro, non riesce proprio a riaffermare l’immagine di artista perversamente maledetto. Provaci ancora, Brian.
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