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Marilyn Manson: la recensione di We Are Chaos

We Are Chaos: quale miglior titolo per Marilyn Manson per rappresentare il concept emotivo di questo nuovo capitolo artistico.

Marilyn Manson

We Are Chaos

(Loma Vista)

industrial metal, gothic rock, glam rock, dark folk

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recensione-marilyn-manson-we-are-chaos“Bisogna avere del caos dentro di sé per generare una stella danzante”, così si esprime Nietzsche in Così parlò Zarathustra.

Il cambiamento è potenzialmente catastrofico, perché reca in sé interrogativi esistenziali (“Am I garbage or God?”, “Church or trashcan?”, “Am I Superman or superstitious?”) ed una perdita di sicurezza, ma anche la possibilità di una rigenerazione.

A distanza di tre anni da Heaven Upside Down, Marilyn Manson, al secolo Brian Warner (con un gremito stuolo di musicisti al seguito e forte della coproduzione di Shooter Jennings) torna sulle scene mainstream con la sua undicesima “rigenerazione” discografica dal titolo We Are Chaos, rilasciata in data 11 settembre, ricorrenza storica e famigerata per l’umanità.

“Noi siamo il caos”: quale miglior titolo per sloganizzare e raffigurare (sin dalle scelte cromatiche dell’artwork disegnato dallo stesso Manson) il concept emotivo di questo nuovo capitolo artistico del musicista dell’Ohio.

Ovvero, la natura malata ed irreversibile dell’essere umano e gli abissi morali (o immorali) della nostra contemporaneità iper-tecnologica, vampiresca ed autodistruttiva, con tutte le debolezze, la depressione, il declino spirituale, i dubbi ancestrali, la sfiducia (vi ricordate la Age Of Distrust degli Slayer in South Of Heaven?), le infinite crisi d’identità e la spettacolarizzazione mediatica del dolore e della sofferenza.

Psicologia dell’individuo ed alchimia della mente. Psicoterapia ed esoterismo. Un compendio di oltraggio, irriverenza e provocazione, un occhio orwelliano sempre vigile sulle tematiche sociali di ogni epoca ed uno spirito critico, pungente, irriverente, persuasivo, dissacrante, provocatorio, controverso ed ironico nei confronti dell’ipocrisia convenzionale e perbenista della cultura pop.

Sono questi gli elementi che Manson, già prima di trasformarsi in anticristo superstar, ha utilizzato per diffondere il suo marketing shock rock iconografico, teatrale e musicale, regolarmente devoto al sensazionalismo ed amplificato dal suo inconfondibile timbro vocale, da una buona dose di fragilità latente e da tonalità profonde, rauche, cavernose, sussurrate e sensuali

Il Reverendo (questo è l’appellativo che si è guadagnato nel corso degli anni) nonostante l’appariscente e reiterato parossismo estetico e lirico, anche in We Are Chaos è rimasto fedele alla sua sensibilità per le linee melodiche, che svelano in controluce le venature oscure, inquiete, tormentate e malinconiche della sua anima nera.

La musica di Marilyn Manson è stata sempre considerata una ovvia derivazione del metal degli anni ’80; una sorta di spettacolo di cabaret macabro votato all’intrattenimento, una messinscena della metafora del bene e del male che trascina con sé tutti i cliché del satanismo e della rockstar maledetta, ed un’attrazione androgina per il glam eccentrico di Marc Bolan e David Bowie, per il make-up horror e per le architetture neogotiche realizzate dai sintetizzatori di Trent Reznor e Ministry.

Marilyn Manson, proveniente da una famiglia estremamente cattolica, ha iniziato la sua escalation ritraendo le contraddizioni sodomiti della famiglia americana, hackerando e destabilizzando la cultura di massa, fino a manipolare e fuorviare l’opinione pubblica sbattendo in copertina la sua pseudo adorazione per il diavolo e per le droghe.

Manson ha dimostrato di sapersi adeguare alle necessità dello show business televisivo e delle nuove logiche del capitalismo. Ha capito, inoltre, che Satana poteva celarsi sotto mentite spoglie: in ognuno di noi, dietro i nostri specchi, dietro le nostre maschere oppure dietro qualunque altra cosa.

Oggi, la nuova frontiera evocativa di Satana si nasconde nel caos degli esseri umani (sempre meno customer e più user) e nel fascino mediatico nei confronti dei carnefici più che delle vittime.

We Are Chaos si dissolve e si coagula nelle atmosfere cupe e sinfoniche della titletrack (che somiglia parzialmente ad un qualsiasi brano ballabile dei The Killers), dal ritornello orecchiabile e con un beat radiofonico che ricorda i fasti anthemici dei Pet Shop Boys.

Passando tra le sonorità garage fuzz in chiave psichedelica di Perfume e tra le corde romantiche ed insuliniche del refrain di Don’t Chase The Dead (“If tonight lasts forever, it won’t matter if there’s no tomorrow”), arriviamo al calembour di Paint You With My Love, ballatone in stile Platters in cui Manson duetta con John Lennon, entrambi alle prese con una bella infiammazione della faringe.

“Lascia che ti dipinga con il mio amore…”, sarebbe da ingenui se non considerassimo, tra le opzioni, una chiave di lettura pornografica.

Half-way & One Step Forward, invece, non è altro che un brano R&B contemporaneo alla Justin Timberlake (eresia!) camuffato da ballad gothic rock, mentre in Keep My Head Together Brian Warner canta “Fuck the past, here is your present, let’s take the future”.

Lui dice: “Fanculo il passato, prenditi il futuro”. Da quale pulpito, visto che proprio lo stesso Manson, attraverso la sua nuova opera, fugge dalla confusione del presente/futuro risalendo la corrente in senso inverso rispetto alle mode contemporanee, per rifugiarsi nella nostalgia new wave degli anni ’80 e nella filosofia del tempo ciclico Nietzschiano.

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Andrea Musumeci
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