Lou Tapage
Finisterre
folk, combact-folk
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Tornano alla ribalta della grande musica folk rock con Finisterre i piemontesi Lou Tapage, la fortunata ventilazione di vibrazioni occitane/provenzali e altre ibridazioni stilistiche che coinvolge nel suo flusso indiavolato anche il più refrattario degli ascolti. Un disco che ritorna a dare immaginazioni di viaggi, stati mentali, zingarate e canzoni da sognare ad occhi aperti e che segna senza la minima fatica tanti punti a vantaggio in un solo giro d’ascolto tanti sono i “groove fisici” e la necessità sfogata del senso corporeo della danza frenetica e della poesia casareccia, intesa come esigenza di schiettezza e bella irruenza poetica.
A tratti combact-folk ma denaturato dalla rabbia che di solito sbava il genere, un disco a centrifuga che assorbe e rilascia stupende ballate e scatti esplosivi in una commistione colorata e malinconica di estetismo “territoriale” che – attraverso anche il suo linguaggio reale – si bilancia in una piccola perfezione tutta da sgambettare e aprire nelle sue estensioni “piazzaiole”.
I Lou Tapage – ovvero “il frastuono” tradotto dall’Occitano – aprono un mondo a parte, i suoni, le mosse, il collegamento sognanti con le volumetrie folkly Irlandesi, l‘uso mischiato di strumenti antichi e moderni e tutta la messinscena popolare che la band trasmette non fanno altro che dare la foga e la voglia di abbandonarsi a ricordi e nuove stimolazioni sonore e appunto questo loro mondo a parte è una “differenza” da condividere e tenere come una ricchezza di energia vera, pura.
Da anni girano in largo e lungo per far rimbombare la loro forma sonora, la formula d’altri tempi riversata nell’oggi e queste belle dodici tracce ne parlano chiaro, tra santi ispiratori in paradiso e impronte di modernità ci vengono incontro le gighe immortali Finisterre, Avignon, Libertà, strani impulsi carribean d’alta montagna Marshela, il caracollìo fumoso La frema dei bancun fino al listino di un rock meticciato, vintage e odierno distorto in un insieme che si inoltra nel progressive epico e un tantino pomposo “Mistrau-exaloc”. Per amatori del folk autoctono e di quelle brezze che non conoscono tempo o scadenza.
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