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Linea 77: Oh! – intervista a Nitto

Oh! è il nuovo disco dei Linea 77, che dichiarano di tornare alle loro origini. Il risultato è un album forte, con sonorità asciutte che non lasciano spazio ad alcun orpello, fucilate in pieno petto e con i testi che squarciano i connotati radical-chic tanto in voga. Ne abbiamo parlato con Nitto in una atipica intervista

Linea 77

Oh!

(Inri)

punk-hardcore, nu metal, brutal core

_________________

LINEA-77-Oh-recensioneI Linea 77 non sono certo tipi che si perdono d’animo. Alcuni dei pezzi che compongono il loro settimo album Oh! avrebbero dovuto essere la colonna portante dell’EP C’eravamo tanto armati. Ma, ahimè, un corto circuito all’impianto elettrico ha bruciato due hard-disk mandando in fumo qualche transistor e sei mesi di lavoro. Rabbia. Delusione. Amarezza. Tra un’imprecazione e l’altra hanno riaccordato gli strumenti, infilato con rinnovato vigore i jack negli amplificatori e, pronti via, ricominciato tutto daccapo.

È questo l’antefatto al ritorno della band torinese. Che, per l’occasione, abbandona ogni sperimentazione rifugiandosi nei territori che meglio conosce, quelli delle origini che tanto dovevano al loro background musicale.

Il risultato è un album forte, con sonorità asciutte che non lasciano spazio ad alcun orpello. Le note arrivano dirette come fucilate in pieno petto e i testi squarciano i connotati radical-chic tanto in voga nella larga parte delle attuali produzioni italiche. Sono tornati, sono arrabbiati, per lunghi tratti sprizzano una ferocia che non lascia spazio alla minima indulgenza. Per chi non li avesse mai ascoltati, in estrema sintesi si potrebbero etichettare –ma credo che questo verbo li farà arrabbiare- nel calderone del punk-hardcore, tanto per non abusare del termine nu metal, in una nicchia molto vicina ai Rage aganist the machine (i Linea nascono proprio come una loro cover band) e ai Korn.

L’album è stato preceduto da due clip, L’involuzione della specie e Io sapere poco leggere, brani riesumati dall’EP incompiuto. E poi ancora da Presentat-Arm, che loro stessi definiscono un “non video” e che invita a riconoscere in 77 serie di emoticon che sfilano in slide inanimate i nomi di altrettante band famose. Chi li indovina tutti vincerà l’ingresso gratuito a vita ai concerti della band. “Ma tanto non vincerete mai”.

 

Stamattina, mentre Torino sbadiglia speranzosa sotto i primi singhiozzi di primavera, sono seduto al tavolino di un bar insieme a Nitto, il frontman dei Linea.

Ciao Nitto, bentornati. Ti dico subito che sono un nerd perché ho giocato col non video di Presentat-Arm. Ma almeno non sono una persona noiosa. Sono nella normalità perché, a fatica, ho indovinato più di cinque nomi (ma non molti di più).
Avete un modo molto particolare di affrontare la distribuzione e la promozione, è cosa nota. Speravate che il giochino diventasse virale, era una semplice provocazione o cos’altro?

Il video di Presentat-Arm è stato mosso soprattutto dalla necessità. Volevamo fare un video che non fosse il solito video con una parte live e una parte girata in quella location particolare oppure fatta in quel modo o comunque la solita solfa. E poi ci siamo ritrovati anche a riflettere su chi oggi come oggi è veramente il distributore dei video. Ormai ci sono pochissimi media che lo fanno a livello nazionale e soprattutto sono reclusi nella parte satellitare delle TV. Allora ci siamo detti semplicemente: i video sono fatti per andare sui social, per essere condivisi e per essere loro stessi una parte del social. E quindi abbiamo inventato questa cosa, che poi era un gioco che facevamo tra di noi in tour, che consisteva nello scrivere i nomi dei  gruppi con gli emoticon e chi vinceva non prendeva gli schiaffi sul furgone.

Ti faccio una domanda per ogni canzone. Se le indovini tutte non vinci niente.

Nel buio –esiste davvero il buio?- non si riesce a vedersi riflessi e la perenne soggettiva non consente una valutazione distaccata, pienamente contestualizzata alla realtà, di sé stessi. Può essere una chiave di lettura alternativa che consente, perché no, di sfidare l’inerzia e rialzare la testa?

Il buio dei nostri tempi credo sia rappresentato principalmente da un buio personale. Non stiamo vivendo come i nostri avi, anche solo nonni e bisnonni, epoche di guerra o travaglio incredibili, perlomeno non alla luce del sole, perché poi potremmo parlare per ore se siamo in guerra o meno. Il male del secolo è veramente il buio interiore. Il buio esiste. Assolutamente. Credo però che vada visto come una opportunità, o almeno io ho sempre inteso il prenderlo di petto ed esorcizzarlo come una sfida da affrontare.

È fuor di dubbio che il mondo attuale sia il risultato delle nostre scelte. Ma chi è il vero colpevole: chi crea opportunità di consumo o chi consuma?

Mah, è strano, la società odierna è una commistione delle due cose. Chi vuole far consumare fa di tutto perché si crei la domanda in qualche modo. Guarda, non so sinceramente quale sia la chiave di lettura per uscire da questo meccanismo, l’opportunità è sicuramente creata da tutti e due. E questa però è una cosa che spero cambi prima o poi.

L’ora è ora?

Questa è una bella domanda, bisognerebbe rivolgerla anche a Sabino [Pace, voce dei Titor, featuring in “Caos”, NDR], lui in “Caos” vedeva proprio la risposta a queste domande.

Chi tace acconsente, ma chi parla rischia di essere sotterrato come le scorie. E allora forse conviene morderci il fiato e rubarci la pensione, siamo tutti contro tutti, no?, davvero prigionieri di un gigantesco home-theatre che ci stordisce e ci studia per poi condizionarci? Oppure in lotta contro un’ampia legione di portatori sani di una overdose di pigrizia, egocentrismo e menefreghismo che ci spacca rendendoci più vulnerabili?

Il mondo Orwelliano è quanto mai all’ordine del giorno in questa era. È anche vero però che, proprio perché sappiamo che c’è sempre un occhio che ci guarda e ci giudica, non bisogna cadere nella trappola di avere troppa paranoia e non muoversi. Siamo una società egocentrica, soprattutto quella italiana che guarda al suo piccolo giardino senza mai porre lo sguardo un po’ più in la, in maniera più corale rispetto a certe tematiche. Secondo me con le nuove generazioni questa cosa potrebbe cambiare, anche se non sono così ottimista.   

C’è qualcosa di più efficace e pericoloso di un impercettibile sparo nel buio?

Questa è sicuramente una frase efficace per una canzone. Dal vero “un impercettibile sparo nel buio” potrebbe voler dire un sacco di cose, ad esempio un qualcosa che arriva improvviso e inaspettato oppure, ed è un po’ l’altra faccia della medaglia, il non sapere chi ha sparato.

“I bamboccioni figli di papà antiamericani” dovrebbero, ma potrebbero?, fare le rivoluzioni “per le donne fantasma dell’Afghanistan, coi burka firmati da Yves Saint-Laurent”. Mi vengono più quesiti che non c’entrano niente uno con l’altro, o forse anche sì, e allora te li propongo sparati come il ritmo frenetico delle vostre canzoni: Esiste ancora la lotta di classe? È tutto un grande bluff quello che parte dall’11 settembre e ci porta all’Isis? “La testa bucata non è preoccupata”, ma se la merda fino al collo è sempre lì vale davvero la pena di lasciarsi annegare, consapevolmente inconsapevoli, mandando tutti a farsi fottere come un qualsiasi antagonista frustrato?

Sono personalmente convinto che più stiamo andando avanti con un certo tipo di riforme e con un certo tipo di politica e più si sta creando una forbice incredibile che si sta allargando sempre di più tra ricchi-ricchissimi e poveri-poverissimi. Non so se c’è o ci sarà una vera e propria lotta di classe, so però che questa cosa si sta avvertendo sempre più forte a livello sociale, al bar con gli amici piuttosto che in strada. E quindi, spero di no, ma ho paura che ci saranno momenti un po’ più tesi. Sul grande bluff ti risponderei in maniera personalissima dicendoti: sì, assolutamente. In maniera un po’ più pacata… ho sempre avuto l’idea che noi, intesi come società occidentale, abbiamo vissuto per decenni sopra le nostre reali possibilità e adesso ne stiamo in qualche modo pagando il conto. Il nostro vivere è il risultato dello sfruttamento, diretto o indiretto, di altre parti del mondo, e a un certo punto questo scontro doveva venir fuori in qualche modo. Che ci sia una regia? Ho dei seri dubbi che sia proprio così, tutto per creare una più forte tensione sociale e, generando paura, un controllo maggiore. “La testa bucata” è la raffigurazione del non pensare, del non crearsi problemi e del non soffermarsi troppo sulle cose, e a volte è una liberazione. Però non sempre ci si riesce. Anzi, a volte diventa quasi un grido: “Ma perché, perché non sono così?”.    

Allarme! Hanno subaffittato il mare?

Ci arriveremo!

Il più forte cerca di sopraffare il più debole, è così da sempre. Non c’è più fiducia in niente, il pessimismo sopraffà. E alla fine ci si ritrova da soli con la propria fede. Ma in che cosa possiamo ancora credere senza rimanere fottuti o disillusi?

Da questo punto di vista sono sempre stato abbastanza agnostico. Non credo nel Dio classico cristiano o di qualsiasi altra religione, sono molto vicino alla visione dei vangeli apocrifi per cui Dio è in te stesso e quindi bisogna assolutamente credere in sé stessi. L’uomo ha tutto il potere di scegliersi il futuro e di condizionarlo da solo.

Ci sono le sagome di tre uomini da dipingere: di chi sono e come le dipingeresti?

Hmmm… Vorrei dipingere mio nonno. Mio nonno e mio padre. Li dipingerei mentre guardano verso l’orizzonte, magari un tramonto oppure un’alba…

Oh! Come stanno veramente le cose?

[Ride] Non ne ho la più pallida idea. Quando lo scopriremo lo terremo tutto per noi, non ve lo diremo, perché dovrete arrivarci da soli.

 

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