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Le Pietre dei Giganti: recensione di Veti e Culti

Al secondo disco, i fiorentini Le Pietre dei Giganti eseguono un rituale fatto di atmosfere psichedeliche, folk e prog.

Le Pietre dei Giganti

Veti e Culti

(Overdub Recordings)

alternative rock

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le-pietre-dei-giganti-recensioneL’esordio de Le Pietre dei Giganti con Abissi mi aveva impressionato, è naturale che aspettassi questo disco con estremo interesse. La band fiorentina pubblica dopo tre anni questo Veti e Culti in cui dominano strumentali soffusi e oscuri su 9 brani sotto i 40 minuti, che hanno la caratteristica di non avere la classica forma canzone, finendo di essere sprovvisti persino di ritornelli.

In questa seconda uscita discografica si toccano atmosfere tra stoner e psichedelia, con l’uso di campionamenti elettronici, permettendoci fin dalla prima traccia di addentrarci adagio nella cupezza della loro suite denominata Foresta Nera, poi nell’armonico canto nella breve terza traccia che culla una chitarra classica su trame sinuose, concludendo il terzo atto crepuscolare con un finale di strumenti a fiato.

Passati dai primi ruggiti hard rock dei loro esordi, l’opera musicale de Le Pietre dei Giganti si è fatta sempre più dilatata, sposando un alternative rock dalle tinte folk e psichedeliche, producendo un album che rappresenta la loro idea di ritualità. Il songwriting è stato molto ricercato, lavorando insieme anche sui testi rispetto al primo disco, anche a causa della situazione nata dalle restrizioni del Covid che li ha costretti a lavorare separatamente nella costruzione dei brani nella sua ossatura.

 

Dobbiamo attendere Piombo, l’ottava traccia che tocca gli orrori delle guerre nell’Est Europa, senza sapere cosa sarebbe successo oggi in Ucraina, per avere nelle orecchie qualcosa di potente e folgorante, sebbene chitarra e basso siano saturi e pompati, ma in generale assistiamo ad un album ribollente di un viaggio onirico nelle nostre paure, raffigurate dalle immagini realizzate dall’artista contemporaneo DEM, che è stato anche di ispirazione per il loro lavoro. Paure in cui ci si interroga perché i sogni durano una frazione di secondo e gli incubi un’eternità, continuando a procrastinare progetti per poi perderci nei fallimenti. E i soliti ricordi e promesse impalpabili andati in Polvere.

Parliamoci chiaro: non è un album per tutti, non è un disco di rock sanguigno come possiamo aspettarci dai Ministri, e nemmeno più crepuscolare delle nenie dei Verdena. E’ proprio un altro mondo fatto di sonorità aguzze disseminate da tanti artefici (ricordo un anno fa un loro spezzone dove sbattevano catene su una pala per ricavarne un suono), ma nemmeno un lamento funebre. Semmai un mettere in musica un viaggio interiore nel tentativo di uscire da un’oscurità, se vogliamo anche confortevole, provando a scrivere canzoni fuori dall’ordinario. Nella produzione di questo album è intervenuto anche Phil Buono del Monolith Recording Studio di Benevento che ha aiutato la band a definire il suono e di danzare sul tempo senza essere rigorosamente sulla stessa linea, permettendo ai brani di avere un taglio differente da quanto viene prodotto in Italia.

Vet e Culti si conclude con Quando l’Ultimo se ne Andrà, descrivendo le conseguenze di qualche tempesta passata sulle nostre vite dove ci tocca spazzare via sogni e felicità, catapultandoci nell’indifferenza, nel solito tran tran, nei rimpianti e alla fine “non resta che suonare un blues”. Un disco dagli intenti coraggiosi, non semplice, per fortuna non lineare.

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