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Ladytron: live report

I Ladytron, enigmatici e robotici, danno luogo a una performance controversa, fungendo da trasduttori tra la loro musica – sintetica e ammaliante – e il pubblico che li ascolta in una sorta di estasi futuristica

Ladytron

Roma, Circolo degli Artisti, 24 ottobre 2008

live report

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Un pubblico composto in prevalenza da curiosi, anziché da autentici fan dei Ladytron, si è accalcato, sornione e distratto, sotto il palco del Circolo degli Artisti per la tappa romana della band. Una falsa partenza – dovuta al volume delle voci troppo basso – non ha contribuito a scaldare un ambiente che si è fatto ancor più scettico e perplesso. E dire che la tripletta iniziale, se eseguita al massimo delle possibilità, poteva valere da sola l’intero prezzo del biglietto: Black Cat, il nuovo singolo Runaway e soprattutto Ghosts sono brani che ci hanno esaltato su Velocifero, ma dal vivo fanno rimpiangere gli ascolti casalinghi.

I Ladytron sul palco non si muovono per la quasi totalità dell’esibizione; ognuno dei sei componenti è confinato nel proprio metro quadro di spazio, vuoi perché ingabbiati da tastiere e synth, come nel caso del geniaccio Reuben Wu, ma anche per la mancanza di forza scenica e capacità di interpretazione come per le due vocalist. La bulgara Mira Aroyo – vestita come una bambola funerea – impiega mezza concerto per sciogliersi e trascinare il pubblico con un accenno di ballo; la scozzese Helen Marnie – sicuramente più adatta per svolgere un ruolo da leader – sembra spesso vivere la performance in modo solitario e distaccato, limitandosi a qualche timido «grazie mille» tra un brano e l’altro.

Ma quello che rende apprezzabile la musica dei Ladytron è l’alto tasso di tensione e fascino surreale che riesce a trasmettere. Loro fungono da trasduttori, da mezzo veicolante per far arrivare queste sensazioni a chi li ascolta e a chi vede in loro, a piena ragione, una delle migliori espressioni elettroniche del panorama indie. Verità che si concretizza anche dal vivo, trovando riscontro nei brani che la band alterna in scaletta: nelle sonorità sinistre, che portano in dote tutta una serie di rimandi stilistici, di Discotraxx; in quelle darkeggianti della splendida Soft Power e nelle atmosfere vibranti e – finalmente – coinvolgenti della conclusiva Destroy Everything You Touch.

Un’ora e venti che, malgrado le tante grinze, ci ha comunque dato l’impressione netta di aver assistito a una folgorante istantanea musicale dei nostri tempi, e che farà sì che la prossima volta ad assieparsi sotto il palco dei Ladytron saranno molti più fan che curiosi dell’ultima ora.

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Roberto Paviglianiti
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