L’Uomo di Vetro
38° Parallelo
(Cd, I Dischi del Minollo)
post-rock
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San Francisco, Atene, Smirne, la Corea del Nord e quella del Sud, passando per la natia Foligno e l’universo canadese e scozzese dei padri, Godspeed You! Black Emperor e Mogwai su tutti. E’ proprio dalla fine di queste coordinate geografiche ed emotive che nasce e si dipana il 38° Parallelo de L’Uomo di Vetro, il combo umbro nato in forma di duo nell’inverno del 2004 e via via allargatosi fino ad arrivare al sestetto odierno.
Nonostante ormai del magmatico ambito post rock sia stato detto e scritto già (quasi) tutto e sebbene sia legittimo pensare che una scelta musicale e stilistica del genere, dieci anni dopo essere entrati nel nuovo millennio, non abbia poi troppo senso, il secondo lavoro della band folignate suona inaspettatamente sincero e vibrante di giusta inquietudine.
L’intro della title track iniziale disciolta nella mutevole American Nightmare e la successiva Tecno-Bells & Funeral Party, annunciata da un sinistro tintinnar di campanellini e da una batteria dall’incedere marziale, è un trittico di quelli che non si dimenticano, di quelli capaci di ghiacciare il sangue nelle vene. Un acido vortice d’angoscia che rappresenta senza dubbio la parte migliore dell’album.
Le tracce successive (Deserto, Smog, 1984 The End Is Just The Beginning), infatti, probabilmente penalizzate da un siffatto avvio, scivolano via indolore, emotivamente sterili ed alquanto sonnacchiose. E’ nel finale invece che, martellante, il chiodo torna a battere sulle nostre fragilità, sgretolandoci anima e corpo grazie alla splendida ed apparentemente incompiuta Germania Anno Zero, piano solo con voci disturbanti e soprattutto la conclusiva, oscura, ipnotica, ossessiva, tribale Peckinpah’s Twilight, musica cinematica e visionaria, omaggio ad un mondo, quello del cinema, con cui il genere post rock ha più volte incrociato la propria strada.
Pur ribadendo le perplessità iniziali, 38° Parallelo è un lavoro che si lascia ascoltare con disturbante piacere. E’ l’ennesimo esempio di come la scuola italiana sia riuscita a ritagliarsi un proprio ambito autonomo dai propri ingombranti padri seppur senza rinnegarli del tutto. Se questo sia (stato) un bene o un male credo che al giorno d’oggi abbia ormai poca importanza.
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