Kings of Convenience
Declaration Of Dependence
(Cd, Virgin)
indie-pop, acoustic pop
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La semplicità, unita al buongusto e all’abilità tecnica, è una dote di per sé sufficiente per dare una valutazione positiva a un disco. I Kings Of Convenience, duo norvegese che, chitarra acustica in mano, in pochi anni è riuscito a guadagnarsi un posto d’onore nel panorama indie in quanto considerati a furor di popolo pionieri del new acustic movement, hanno fatto della semplicità garbata e intelligente il loro punto di forza, fin dal loro primo album, Quiet Is The New Loud del 2001.
Ora che sono passati dieci anni dal debutto, Erlend Oye e Eirik Glambek Boe pubblicano il loro terzo disco, riproponendo la stessa, elaborata, candidezza naive di un Simon e Garfunkel contemporanei. Ma questa volta il gioco non convince. Pur rimanendo di alta qualità, questo tipo di musica comincia ad essere inadatta per loro, come la maglietta di un bambino indossata da un adulto.
Gli arrangiamenti sembrano ancora più scarnificati rispetto al solito: due chitarre che, grazie ad accordi precisi e ben scanditi, non fanno sentire la mancanza di una sezione ritmica, che è praticamente assente. Ogni tanto sprazzi di pianoforte e di archi arricchiscono il quadro d’insieme.
Le chitarre sono più istrioniche del solito, al limite del virtuosismo un po’ auto compiaciuto, di una perfezione che spesso annoia. Mrs Cold è di una placidità fin troppo rilassata; gli accordi rarefatti di My Ship Isn’t Pretty irritano anziché emozionare, mentre le mansuete scivolate chitarristiche di Second To Numb fanno ciondolare la testa dal sonno.
La situazione migliora con i brani più decisi: Boat Behind ha un bel groove spigliato; Peacetime Resistance ha una linea melodica data dagli archi che riesce a sostenere senza incertezze tutto il brano. Ma queste sono solo leggere increspature in un mare piatto e senza guizzi.
Questa volta la colta gentilezza dei Kings Of Convenience non ha funzionato: la troppa perfezione è sfociata in melassa. Forse è ora di fare qualcosa di un po’ più azzardato. Che sia più impreciso e imperfetto, magari, ma che sia più vivo.
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