Katia Labèque
Shape Of My Heart
(Cd, KML Recordings)
classica, jazz
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Vince chi grida più forte. È questa la caratteristica dei nostri tempi, e la musica non fa eccezione: il ritornello che si imprime subito in testa, gli arrangiamenti imponenti, i cori spettacolari. Per carità, è giusto che la musica offra questo. Ma è indispensabile che sappia offrire anche qualcos’altro.
Per fortuna ci sono artisti come Katia Labèque che sanno proporre una valida alternativa alla eccessiva ridondanza musicale. In Shape Of My Heart, la pianista francese ci regala brani ponderati, essenziali, dove tutto è al proprio posto e nulla è di troppo. Dodici interpretazioni, scarne, raffinate ed intense, eseguite molto spesso solo dal pianoforte.
Il disco emana eleganza e buon gusto non solo per il virtuosismo di Katia, ma anche per i grandi musicisti che hanno partecipato alla realizzazione, dall’amico Sting fino ai pianisti jazz Herbie Hancock, Chick Corea e Gonzalo Rubalcaba.
Si parte con la struggente compostezza di Moon Over Bourbon Street, dove la cupa voce di Sting e l’impalpabile piano della Labèque si congiungono in un intreccio commovente, mentre in Shape Of My Heart, anch’esso composto e interpretato da Sting, le profonde modulazioni vocali del cantante trovano un adeguato supporto nell’appassionato ordito dei tasti bianchi e neri.
Un romanticismo inquieto percorre la splendida My Funny Valentine, eseguita a quattro mani con Herbie Hancock, mentre si palesa un guizzo di sperimentalismo nell’interpretazione solista di Exit Music dei Radiohead, ancora più sfuggente dell’originale, in cui un enigmatico pianoforte, dominato dalla ingenua trasparenza di note acute improvvisamente incupite da toni bassi, viene contaminato da inquietanti suoni stridenti.
Un’altra perla è Purple Diamond, scritta dal chitarrista e produttore David Chaimin, dove la delicatezza iniziale e finale della voce e del pianoforte viene interrotta da uno sfogo di piano e chitarra,tanto rabbioso quanto potente.
Shape Of My Heart è un disco prezioso: non capita tutti i giorni, infatti, che l’orecchio riesca a vibrare non per una chitarra ridondante o per una batteria convulsa, ma per un semplice e quasi inavvertibile sussulto di un tasto bianco.
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