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Kasabian: recensione di Happenings

Il nuovo disco dei Kasabian sembra voler approcciare un sound del tutto nuovo… ma la rotta al momento appare ancora parecchio confusa.

Kasabian

Happenings

(Columbia Records)

elettronica, pop, rock, indie, disco music

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Screenshot

A parte qualche più recente passaggio radiofonico, il mio ricordo dei Kasabian affonda le radici nei primi album, che li avevano consacrati come nuova realtà del genere indie rock. Non immaginavo niente di troppo diverso, ma non nutrivo nemmeno aspettative particolari, solo tanta curiosità nei confronti di una band che avevo trovato per molti aspetti interessante. Questa premessa giusto per dare un quadro del mood con il quale ho approcciato l’ottavo album della formazione di Sergio Pizzorno. Per rimanere al termine dell’ascolto un filino disorientata.

Nelle intenzioni, Happenings doveva essere un lavoro ispirato alle performance artistiche di fine anni ’50, composto da 10 brani brevi, taglienti e viscerali. E con questa seconda parte ci siamo: la durata totale è di solo un minuto inferiore al debutto dei Ramones, ma anche nel caso del punk il paragone ha titolo puramente esemplificativo.

Le prime due tracce del disco, già uscite nei mesi precedenti come singoli, ne delineano il suono: Darkest Lullaby ricorda l’immaginario collettivo della disco music anni ’70, mentre Call richiama lo schema compositivo ‘strofa più lenta, ritornello più movimentato’. Fin qui niente di male, se non che canzone dopo canzone il calderone nel quale Pizzorno ha mischiato disco music, rock, pop, indie e persino elettronica assume contorni sempre più sfumati catapultando l’ascoltatore in una sorta di terra di nessuno nella quale in testa resta solo un enorme punto interrogativo.

Che direzione vogliono prendere i Kasabian con Happenings? I brani brevi e diretti, frutto del nuovo modo di usufruire della musica funzionano, ma sembrano quasi raffazzonati insieme. Sia che abbracci sonorità più rock come in Passengers (che mi ha ricordato vecchie cose dei Red Hot Chili Peppers), sia che invece si orienti verso il pop eccentrico (Italian Horror), la band di Leicester si limita a buttare in pasto all’ascoltatore una serie di spunti che meriterebbero un’elaborazione più attenta e che gettati alla rinfusa in un’unica traccia generano solo confusione e, personalmente, un po’ di frustrazione.

Apprezzabile l’intento alla base di questo disco, ovvero quello di spingere la gente a uscire, a invogliarla a partecipare a eventi nei quali condividere le proprie emozioni con gli altri, soprattutto dopo la pandemia (ed ecco spiegate le liriche che parlano di algoritmi e intelligenza artificiale). Ma ovviamente, c’è modo e modo per farlo e di sicuro Happenings questo modo non l’ha ancora trovato.

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Simona Fusetta
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