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Karin Park: recensione di Church Of Imagination

Nuovo lavoro solista per Karin Park: Church of Imagination è un viaggio esplorativo attraverso i territori della religione, della magia e della potenza creativa. E in salsa apocalypse-pop.

Karin Park

Church Of Imagination

(Pelagic Record)

synthpop, indietronica, electroclash, industrial

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KARIN PARK - Church Of ImaginationNon so se si tratti di un caso o di una serie di coincidenze favorevoli, sta di fatto che in questo ultimo periodo mi sono spesso ritrovata a scrivere recensioni di dischi prodotti al femminile. Da sempre le donne danno origine alla vita, allattano, curano, accudiscono chi sta loro accanto ma è bellissimo poter immaginare per tutte noi una vita parallela, fatta di immaginazione, estro creativo e liberazione artistica a tutto tondo.

In questo contesto si inserisce in maniera perfetta Karin Park, al secolo Karin Maria Erika Park, cantante svedese che, dopo Norvegian Gothic degli Årabrot e Alter, firmato con Lustmord, torna con il suo quinto album solista, Church Of Imagination, su Pelagic Records.

Per avere un’idea di chi sia realmente la Park, bisogna conoscere un minimo la sua storia. Cresciuta in un piccolo villaggio svedese all’interno di una famiglia cristiana, trascorre gli anni della formazione in una scuola missionaria nel lontano Giappone, tutto le sta terribilmente stretto, Karin si sente imprigionata e prova in ogni modo a rompere le catene che la costringono in uno spazio angusto, a soli 15 anni se ne va di casa e finalmente trova la sua strada, in Norvegia inizia la carriera pop, a Londra scrive, compone e lavora come modella per marchi di alto profilo come Swarovski, Haizhen Wang e DKNY ma il suo cuore continua a battere per la musica.

Dopo alcuni album e successi scritti per altri artisti, Karin decide di tornare nel villaggio della sua giovinezza, di acquistare la chiesa dove ha cantato per la prima volta davanti al pubblico e di andarci ad abitare, questa importante trasformazione da luogo sacro a casa/studio ha generato un luogo magico dove insieme ai sogni sono risorte le ispirazioni. “Mi sono appassionata ai sintetizzatori, ispirata fortemente da Fad Gadget e da molti altri artisti prodotti negli anni ’80 dalla Mute Records di Daniel Miller.

Ma in quella scena non è mai esistita una comunità femminile di musicisti alla quale potevo davvero guardare come esempio, quindi ci è voluto un po’ per trovare i miei punti di riferimento”, dice Karin, “amo la musica pop, ma ho sempre bisogno di scavare più a fondo, evolvermi e trovare nuove strade. Mi sposto facilmente da Throbbing Gristle a Beyonce e viceversa”.

Church of Imagination è un viaggio esplorativo attraverso i territori della religione, della magia e della potenza creativa, in buona sostanza una prosecuzione consequenziale del suo stravagante sound apocalypse-pop.

La chiesa dell’immaginazione apre le porte a chiunque abbia voglia di emozionarsi in modo profondo, le 12 tracce incluse sono paragrafi imprescindibili di un libro denso e molto affascinante.

Senza dubbio coraggioso l’intro, affidato alla cover di A Forest dei Cure, riproposta in una versione completamente destrutturata e ricomposta in chiave semi acustica con tanto di sezione d’archi da brivido riproposta più avanti in A Thousand Minds, dilatatissima, intensa, storta al punto giusto ed impreziosita da una voce molto affine, in questo frangente, a quella di Zola Jesus.

Il resto del full-lenght si divide tra ballad avvolgenti come Glass House o Dangerous Caress ed intenzioni à la Massive Attack concretizzate soprattutto nella centratissima Magix e nella altrettanto convincente Empire Rising.

Curioso l’intramuscolo funky-soul Let The Fun Begin scelto come preludio al gran finale, ascoltando l’intima ed ipnotica The Sharp Edge, si capisce perché Karin venga da molti definita la Nico scandinava.

Seppur non apprezzi particolarmente le voci femminili tranne rarissime eccezioni, ammiro il modo viscerale con il quale la Park si approccia alla sua creatura artistica.

Church Of Immagination è di una sincerità cristallina, quasi disarmante, un disco non ostico ma non particolarmente accessibile, tendenzialmente pop ma troppo contaminato per coinvolgere il pubblico abituato all’easy listening, forse c’è ancora bisogno di un giro di vite per assemblare l’opera perfetta ma sono pronta a scommettere che non tarderà ad arrivare.

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