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Kaki King: Junior

Forse non sarà particolarmente innovativa come artista, non avrà una voce piena o melodiosa, ma alla chitarra è un vero drago. E si sa, quando c’è il talento, si perdona tutto

Kaki King

Junior

(Cd, Cooking Vinyl)

pop, rock, indie

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Katherine Elizabeth King, al secolo Kaki King, torna a deliziare i palati più fini con il suo quinto album solista, Junior. Musicista dall’indubbio talento, abbandona gli schemi del passato per cimentarsi in brani più rock e dimostrare così di essere un’artista in continuo movimento, che nella vita – come nella musica – ha bisogno di cambiare per sentirsi viva.

Al primo ascolto, Junior mi ha lasciata spiazzata, combattuta tra un’aperta standing ovation per le bellissime melodie e un tiepido plauso per la quasi totale mancanza di originalità e le non eccelse qualità vocali. Al secondo ascolto, però, sono emersi con maggiore preponderanza quegli elementi che mi hanno portata a decretarne il successo, successo atteso e quasi scontato per critica e fans, visto la portata dell’artista.

Rispetto ai lavori precedenti, quest’album nasce per un trio. Non solo la maestria di Kaki, bensì una splendida fusione di suoni diversi, che assumono forma concreta grazie alle sapienti mani del polistrumentista Dan Brantigan e del batterista Jordan Perlson, due prodigi secondi a nessuno. E’ anche merito di questi due eccelsi musicisti se Kaki King riesce a spaziare attraverso stili diversi. Si comincia con il pop di Communist Friends, per passare a toni decisamente più rock con Death Head; la sezione ritmica si esprime a livelli sopraffini con Falling Day, per lasciare il posto ad echi pinkfloydiani in Hallucinations From My Poisonous German Streets.

Per dimostrare ulteriormente la propria crescita artistica, Kaki si dedica con maggior intensità al cantato, che tuttavia non convince quanto le linee melodiche. Unica eccezione Sunnyside, dove la voce è pulita e priva di effetti, quasi rotta dall’emozione e piacevolmente incerta quanto alle proprie potenzialità. In tutta sincerità, diciamo che se questo disco fosse stato solo strumentale, non avrebbe perso valore.

Al di là del giudizio stilistico puramente oggettivo – che lascia un po’ il tempo che trova – è indubbio che ci troviamo davanti a un piccolo gioiello compositivo, capace di emozionare anche (e soprattutto) senza le parole.

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Simona Fusetta
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