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K-Branding: Facial

Prendete jazzcore, noise, industrial, dance ipnotica e declinate il tutto in chiave labirintica-claustrofobica: troverete Facial, esordio dei belgi K-Branding

K-Branding

Facial

(Cd, Humpty Dumpty Records)

jazzcore, noise

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k-branding-facialDopo una lunga serie di approdi cinematografici (tra cui spiccano le opere dei fratelli Dardenne), la disperazione e l’angoscia metropolitana made in Belgium sbarcano anche in ambito musicale.

Gli alfieri sono i K-Branding da Bruxelles, il cavallo si chiama Facial, primo album del gruppo dopo cinque anni di sperimentazioni e live sparsi in giro per l’Europa.

L’approccio jazzcore è immediatamente arrembante e brutale, caratterizzato da un’oscura pioggia di grida, rimbombi e esplosioni (Nubian Heat) che lasciano solo intuire in che razza di labirinto claustrofobico si sia ficcato l’incauto ascoltatore.

Brano dopo brano, la tensione sale, e con lei anche l’incessante battito “meccanico-tribale” che avvicina Facial a una sorta di vodoo urbano carico di ansia e schizofrenia, ricordando a tratti certi lavori quartomondisti della coppia Hassell-Eno.

Il richiamo all’Africa si fa esplicito in Africanurse, mentre in Landler sfocia in folli improvvisazioni jazz stile Zu per poi spegnersi in una lancinante devastazione dancing-noise con cigolii di porte che chiudono ogni speranza di salvezza.

Sconquassi industrial (Take Your Hat Off), acidissimi furori metallici (Antisolar Point), tormentate spirali psichedeliche (Nieu-Latyn) accentuano la decadenza di un viaggio tanto intenso quanto spaventoso, dominato dal caos e dal buio più totale.

Unici piccoli spiragli di luce, le gelide introduzioni di Reazione a catena e Der Morgen Kommt, ma è pura illusione: il criptico Triptych Part Two riporta tutti nella dimensione dell’incubo con i suoi echi disturbanti.

Dopo aver ascoltato Facial urge una boccata d’aria.  Al contatto con l’ossigeno, ecco la domanda: ma in Belgio si sta proprio così male?

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Marco Tasso
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