Jarvis Cocker
Further Complications
(Cd, Rough Trade)
pop, rock
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O lo si ama o lo si odia. Jarvis Cocker è così, senza mezze misure. Fin dai tempi in cui era leader dei Pulp, band che negli anni Novanta, insieme a Oasis e Blur, costituì uno dei nomi di punta della nuova scena musicale inglese, Cocker, con i suoi atteggiamenti sopra le righe, sembrava essere l’ultimo vero dandy rimasto sulla piazza. Sempre elegante, raffinato, con quell’aristocratico pallore, ma comunque con un piccolo dettaglio di sciatteria, come i capelli spettinati e il viso perennemente imbronciato, per dare quella sensazione di maledettismo e di inquietudine che ogni dandy che si rispetti deve avere. Il cantante di Sheffield proietta questa debordante eccentricità in ogni brano del suo secondo album da solista, Further Complications, le cui sonorità seguono le traiettorie del pop di qualità dei Beatles e del glam rock imbevuto di psichedelia di Marc Bolan, senza rinnegare l’attitudine brit pop dei Pulp.
Il primo singolo estratto, Angela è uno dei brani più aggressivi, basato su uno pressante riff di chitarra e corredato da acidi arrangiamenti sbrindellati. Nello stesso mood si può collocare Pilchard, visionaria e ariosa, sporcata ad arte da qualche chitarra distorta decisamente psichedelica, con la parte cantata ridotta a singulti e a languide emissioni di fiato. Homewrecker, invece, ha un’attitudine soul, grazie al sassofono bene amalgamato con il pesante afflato strumentale di rock duro, ma sdrammatizzato da stranianti coretti e da un finale talmente esagerato da essere volutamente ridicolo.
A questi pezzi ridondanti e caotici fanno da controparte i brani lenti, molto ben ponderati nonostante Cocker non perda il gusto per gli arrangiamenti complessi. Fortunatamente l’ex leader del Pulp non cade mai nel banale o nello sdolcinato grazie alla costante presenza di venature ironiche, come in Leftovers caratterizzata da composte e raffinate atmosfere in bilico tra Beatles e Verve. Si grida al miracolo solo con la bellissima Slush, cadenzata da tre note riprese in modo straziante dalla voce e da tutti gli arrangiamenti e sottolineate da un rimbombante tamburo, spezzate solo da un intermezzo lo-fi pieno di distorsioni. L’effetto finale da pelle d’oca. A. In conclusione, You’re in My Eyes, pezzo leggero ed evanescente, a metà strada tra frivolezze lounge e una garbata patina disco music.
C’è chi odierà questo disco, giudicandolo esagerato e troppo autoreferenziale. Ma c’è anche chi si appassionerà a Further Complications fin dal primo ascolto: in questo caso vorrà dire che Sir Cocker, nonostante la sua altezzosa antipatia, sarà riuscito comunque a conquistare a ed ammaliare.
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