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Jamiroquai: recensione concerto Assago, Milano, 30 marzo 2011

Lo Space cowboy è cresciuto, diventando un musicista maturo e virtuoso. Ma non credete che si sia liberato della sua vena di lucida follia. E il loro live ne è una prova lampante

Jamiroquai

Assago, Mediolanum Forum, 30 marzo 2011

live report

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jamiroquai-recensione-concerto-30-marzoIl re del funky è tornato. Dopo un silenzio lungo quasi sei anni, durante i quali molti l’hanno dato per spacciato, finalmente Jason Kay e la sua band, i Jamiroquai, pubblicano un nuovo album e partono per il tour promozionale, che in questi giorni tocca anche il nostro bel paese. Il Mediolanum Forum di Assago è la prima location a ospitare questi artisti, che torneranno a farci visita anche in estate. Perciò, se vi siete persi il loro primo sbarco, a luglio ci saranno altre occasioni. Ecco intanto un rapido resoconto della loro straordinaria performance di Milano.

Sono le 21.15 quando i Jamiroquai salgono sul palco, dopo il set di apertura dei Penguin Prison, band pop-elettronica che sembra uscita da una puntata di Deejay Television (più eighties di così…). Jay Kay non è più il ventenne snodato del video di Virtual Insanity, ma un uomo che sa tenere il palco grazie al suo forte carisma, a una sorprendente presenza scenica e una voce impeccabile. Vestito con il classico copricapo piumato e un curioso soprabito frangiato, dà subito alla folla un assaggio delle sue doti sulle note di Rock Dust Light Star, title track del nuovo album.

E questo è solo l’inizio. Con Cosmic Girl il palco si popola di pianeti (che cambieranno colore a seconda del mood) e ha inizio la carrellata di pezzi che negli anni hanno decretato il successo di questa band: Use the force, You give me something, Space cowboy. Che cosa rende questo concerto speciale? Il fatto che per i Jamiroquai sia semplicemente un banale pretesto per regalare una veste inedita ai brani del passato. Ed ecco che Canned Heat viene rivisitata in chiave samba, mentre Deeper Underground, colonna sonora del film Godzilla, rapisce in un vortice rock che non ti aspetti; Love Foolosophy viene suonata prima in versione soft e poi replicata come da disco e Feel just like it should dà una sferzata di vitalità nel suo arrangiamento ancor più ‘acido’.

Jay Kay approfitta dei lunghi momenti strumentali che caratterizzano ogni canzone per scendere tra la gente ed elargire strette di mano alle prime file e addirittura firmare autografi. Nel mentre la band (basso, chitarra, batteria, percussioni, tastiere, oltre a una sezione di fiati e tre coriste), fonde il funky con l’acid jazz creando quel suono caratteristico che i Jamiroquai sono riusciti a rendere ‘commerciale’. Anche se è indubbio il fatto che tra tutti sia l’istrionico leader a spiccare, bisogna anche dire che sentire Paul Turner al basso è una di quelle esperienze difficili da dimenticare!

C’è ancora spazio per un paio di bis (White Knucle Ride e When you gonna learn) prima che cali il sipario sull’esordio italiano dei Jamiroquai. A chi si aspettava di sentire l’evergreen Virtual Insanity, Jay Kay e la sua band hanno risposto con altre hit: fedeli alla tradizione ma ammaliati dalla modernità svecchiano il loro repertorio, giocano con gli orecchiabili pezzi radiofonici che gli hanno regalato la gloria e li trasformano in esercizi di stile. Dietro quella tuta sportiva c’è un vero sovrano…lunga vita al re del funky!

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