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Ira Green: recensione di Tutti i colori dell’Ira

Terzo disco per Ira Green, un rock-prog-metal con qualche virata rap tra l’italiano e l’inglese. Tutto fuori appositamente dagli appositi schemi per raccontare le sue battaglie a muso duro.

Ira Green

Tutti i colori dell’Ira

hard rock, metal, alternative rock

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Le esibizioni di Ira Green al talent The Voice del 2015 l’hanno lanciata come rocker nel panorama nazionale, con un lungo percorso artistico fino alla pubblicazione di questo suo terzo album, Tutti i Colori dell’Ira, formato da 15 tracce prevalentemente hard rock, metà in inglese e metà in italiano.

Ira, nome d’arte di Arianna Carpentieri, ha fatto gavetta nella provincia napoletana in diverse band e ha alle spalle anche tre anni di teatro. Dopo The Voice le sono stati proposti contratti discografici che l’avrebbero aiutata ad emergere, ma alle condizioni che probabilmente avrebbero snaturato il suo universo musicale, e lei ha preferito optare per l’autoproduzione, libera da ogni influenza.

E così sono nati in crowdfunding prima Re(be)ligion, il suo primo album in inglese, e poi il secondo disco, 7, un’opera cantata in italiano incentrata sui peccati capitali a cui hanno collaborato Cesareo (Elio) e Fabrizio Simoncioni (Litfiba, Ligabue). La sua è una voce graffiante e prorompente, dall’apparenza rauca e stridula ma capace di diventare delicata nei brani più evocativi come Goodbye I am Leaving, accompagnata principalmente dal pianoforte.

Con un comparto vulcanico che suona senza risparmio tirando pugni in faccia grazie a liriche sarcastiche e taglienti, già dalla terzina di apertura (Maila, I Miei Tempi, Mai Na Gioia) troviamo composizioni variegate e mai lineari che sfoggiano un hard rock con martellate metal, tinte prog e alcune parti di rap. Dopo Shattered Love Blues, brano dolcissimo aggraziato dalla bravura di Andrea Sora alla chitarra, si macina continuando a pestare duro su brani irruenti, strofe e ritornelli alternati a variazioni stilistiche improvvise e cambi di tempo, come gli scratch e power chord di Burattino che irride chi fa l’alternativo coi soldi di papà.

I suoi testi sono capocciate dirette a chi l’ha trattata male, non ha creduto in lei (I Miei Tempi) e si è rivelato infingardo (Il Circolo dei Bugiardi) ma di fronte c’è una donna che sa mordere quando deve (Vecchia Scuola). E’ un disco che prende a schiaffi quanti pensano di farla franca con le belle parole e che rivela nei testi come questa artista sappia mostrare carattere. Roses è una graziosa ballata sulla fragilità, dedicata alla madre mancata da poco. Orfani Precoci è un pezzo soft dalle tinte metal che racconta la timidezza con cui è cresciuta “Quando il mondo mi sembrava un Luna Park, castelli in aria e poi vestita dark.”

I’m Your Hero e I Need Help danno la sensazione di brani all’altezza delle produzioni mainstream rivolti ad un pubblico internazionale, ma nel resto dell’album i brani non sono affatto easy listening. Queste canzoni sono scritte tutte da Ira Green che suona anche chitarra, basso e tastiera, supportata oltre che dal chitarrista Andrea Sora anche da Marco Branca (basso, chitarra, tastiere) e Alessandro Longhi  alla batteria. Potenza e delicatezza in un lavoro personale, senza i soliti schemi e coraggioso. Il difetto è quest’alternanza linguistica e la non facile assimilazione popolare, ma qui parliamo di un’artista che si è sempre fatta da sola e va avanti per la sua strada.

Sito web: www.iragreen.it

Facebook: IraGreenOfficial

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Luca Paisiello
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