Universo è il primo singolo tratto da Carapace, il nuovo album de Ipercussonici. Da Catania, con la stessa energia dell’Etna, pronta a sprigionarsi.
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L’energia trasformativa del vulcano in eruzione pervade nel profondo l’incredibile suono della band nata nel 2002 a Catania, in cui strumenti antichi come marranzani, didjeridoo e tamburi si fondono a creare esplosive sonorità ultramoderne attraverso il sudore e la carica di 5 musicisti dalla formazione poliedrica e un impatto che dal vivo né fa una riuscita miscela tra rock, elettronica e world music.
E allora Ipercussonici per questo loro ultimo disco creano musica che è un po’ come un guscio; la parte superiore un po’ protegge, un po’ si mostra e crea tante tessere che compongono uno splendido disegno geometrico: è questo il carapace, la parte superiore esterna del guscio delle tartarughe, ed è questo il nuovo disco de Ipercussonici, Carapace: un grande mosaico che compone il mondo sonoro, culturale e umano di questa straordinaria band catanese.
Mille i suoni e gli strumenti che concorrono a disegnare questo quadro: dall’acqua che scorre nella bellissima bottiglia dal collo lungo posata lì da una nonna attenta (Fuje) alle campane sapientemente manufatte da abili fabbri di campagna (Ipercus-Suite), dalle corde pizzicate d’una kora dell’Africa Occidentale alle lamelle pizzicate dei marranzani siciliani: i suoni e i colori di Carapace attraversano con amore la Terra e la sua storia, quella attuale e quella più remota. Dal confronto con culture che hanno un rapporto con la Terra diverso dal nostro si rinnova spontaneo l’amore per la stessa. Il titolo dell’album è quindi anche un gioco di parole: cara-pace, un augurio, una dichiarazione d’amore, una dichiarazione politica.
Il disco nasce su queste solidissime basi culturali e non sorprende poter ascoltare in più tracce di Carapace il suono del didjeridoo – strumento a fiato di origine australiana -, formato da un ramo che canta, o del balafon – xilofono africano che risuona nella pancia di dodici zucche. Ed insieme a questi, tantissimi strumenti della tradizione musicale italiana; perché anche in Italia, per lunghi anni, si è ballato al suono di strumenti naturali, in una realtà tribale che ancora resiste in alcune aree, dove – in occasione di riti sociali o religiosi – si improvvisa per ore su temi musicali: una modalità difficile da rinchiudere o riformulare in una canzone, ma il cui spirito percorre l’intero disco.
Carapace è un ‘road-album’ – come affermano ironicamente Ipercussonici – ovvero un disco registrato in giro per il mondo, un disco senza casa inciso sull’uscio di mille tradizioni diverse, tale da poterle carpire lì dove nascono, ma anche da potersi mescolare alla Storia e alle Storie del mondo. Così, un po’ per gioco un po’ per riverenza, nell’introduzione di Ipercus-Suite si possono ascoltare tanti amici di madrelingue diverse che deformano, pasticciano con il nome ‘Ipercussonici’, mentre questo pezzo strumentale è una sorta di gioco ritmico o poliritmico tra popoli, formato da tante frasi differenti arrangiate per sole percussioni (Dun dun, sangban, tamburello, marranzani e didjeridoo).
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