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Intervista agli Infernal Poetry

Due chiacchiere con gli Infernal Poetry per parlare del loro ultimo album e del metal italiano. L'analisi è sempre più lucida e spietata: se volete suonare, non sognate di diventare miliardari; se volete fare qualcosa d'originale nel metal, imparate a camminare da soli

A quasi quattro mesi dall’uscita del loro ultimo album Paraphiliac, abbiamo fatto due chiacchiere con gli Infernal Poetry, chiedendo conto dei primi risultati del disco e finendo col parlare dello stesso, dolente tasto: suonare metal in Italia, croce o delizia? Sicuramente è una croce portare avanti il rapporto tra musica estrema e mercato italiano, ma quelle poche delizie che offre evidentemente valgono la pena di tenere in vita una relazione così disfunzionale.

Rockshock. Grazie per aver accettato di parlare con noi. Benvenuti a Rockshock, ragazzi.
Grazie a voi.

Rs. Paraphiliac è un album che non lascia nulla al caso. Quanto tempo vi ha richiesto la sua realizzazione? Da quanto ci stavate lavorando?
Circa 3 anni e spicci tra composizione, provini e registrazione. Lo so è molto, ma è il piccolo (se non unico) vantaggio di non avere una major: niente pressioni e libertà totale nei tempi e nei modi.

Rs. L’accoglienza che avete trovato, almeno da parte della critica, è stata molto positiva. In che misura rispecchia le vostre aspettative ? I fan stanno rispondendo con eguale entusiasmo?
Onestamente non ci aspettavamo nulla di meno, la critica ci ha sempre trattato da signori. Chiaro che quando un gruppo intraprende una strada fatta di ricerca continua e non si adagia sulla formuletta, una certa dose di rischio c’è sempre. Anche i fan mi sembra si stiano comportando bene, ai concerti vedo gente che conosce i testi meglio di noi…segno buono!

Rs. Pur non trattandosi di un concept album al 100%, le canzoni sono caratterizzate da una certa unita e connessione di temi. Ci potete spiegare nel dettaglio i temi centrali e come li avete sviluppati, anche sul piano lirico?
Non sono la persona giusta per risponderti visto che stavolta i testi sono stati curati interamente da Paolo (voce). Quello che premeva era delineare delle situazioni limite, anomale, fuori equilibrio. In questo senso la parafilia assurge a ruolo di archetipo di tutto ciò che è disallineato.

Rs. Vista anche la vostra esperienza all’estero, potete dirmi se esiste un mercato che ripaghi un artista dei suoi sforzi? Se sì, in che misura esso si può quantificare (sola copertura dei costi o altro)?
Ma che, i gruppi che vedi in giro sono tutti con le pezze al culo, sono costretti a vivere di altro oppure ad arrabattarsi tra mille rinunce. Onestamente non vorrei mai vivere dovendo stare 9 mesi l’anno in un tourbus o peggio in un van. Diverso sarebbe suonare in una band di serie A, ma non è di questo che stiamo parlando credo. E per questo ammiro quei gruppi che hanno deciso di fare di questa musica una professione, perché credetemi: è davvero una rinuncia dietro l’altra.

Rs. Leggendo vostre precedenti dichiarazioni, si evince che, come succede a molti, il solo lavoro di musicista non vi sia sufficiente. Per programmare il vostro tempo e dividervi tra concerti e impegni in studio, come vi coordinate? Ci sono difficoltà prima di partire per delle date nel conciliare le esigenze di tutti?
Premesso che per noi non è un lavoro, né lo è mai stato, né mai lo sarà… coordinare tutto è un inferno. E naturalmente peggiora sempre di più.

Rs. Come avevo già discusso con gli Extrema, c’è una certa difficoltà nel suonare metal sotto Bologna, se escludiamo la capitale, per carenza di locali e festival di un certo rilievo. Secondo la vostra esperienza perché si trova poco spazio per questo genere?
Non mi trovo d’accordo con gli amici Extrema, e non so a quando risalga la loro affermazione, ma ora come ora direi tutto il contrario. Si sta tornando a suonare più al sud, con metodi spesso consociativi. Il che significa meno budget sicuramente, ma più genuino interesse. L’Italia è finita, collassata, ma il nord per i gruppi medi inizia a farsi terra bruciata. Chiaro che bisogna ridurre certe pretese, che purtroppo nel 2013 non si giustificano più.

Rs. Riallacciandomi alla domanda di prima, si può iniziare a pensare che il metal sia un moribondo che nessuno si decide a graziare, o c’è ancora molto da dire, e le basi del genere possono continuare a proliferare, sviluppandosi in nuove direzioni? Vi chiedo questo perché qui in Italia spesso si ha la sensazione di essere rimasti in pochi- o anche molti- cocciuti. Mi chiedo se chi testa altre platee possa fornirmi una visione diversa.
Ma, non si può certo dire che il metal sia un genere propenso ad accogliere innovazioni e per noi è una vera spina nel fianco. Ci sono paesi più tradizionalisti come la Germania e altri più progressisti come l’Inghilterra o gli USA, ma la verità è che allorquando la musica diventa usa e getta, nessuno si arrischia più a investire in gruppi che escono dal coro. E alla lunga il meccanismo diventa perverso: gli “eversivi”, gli “eterodossi”, i “non allineati” tendono ad avere vita sempre più dura.

Rs. La vostra produzione è caratterizzata da una lettura personale di un genere apparso circa trent’anni fa. Il Death, come altri sottogeneri del metal, è nato prima come rottura di sistemi rigidi, non solo musicali, e poi a sua volta è diventato un vestito stretto, che non ammette sbottonature. Anche se la cosa non sembra toccarvi, o comunque frenarvi, la rigidità del metal può essere un limite creativo per chi sente la pressione di dover rispettare certi canoni?
Certo che lo è, e ribadisco quanto detto prima: a cantare fuori dal coro, oggi come oggi, al netto delle soddisfazioni personali, hai quasi solo da perderci. Noi possiamo fare quello che ci pare proprio perché non abbiamo pressioni esterne di alcun tipo: l’unico vantaggio di avere piccole label alle spalle dicevamo, probabilmente. Detto in altri termini: almeno lasciateci fare il cazzo che vogliamo!

Rs. Vi chiedo ora di descrivermi qualche soddisfazione che vi siete tolti in questi 16 anni di carriera (gruppi con cui avete suonato, palchi che avete calcato,…).
Ci sono tante piccole cose…suonare in tour con gruppi che ascoltavamo da adolescenti come i Dismember, partecipare a 3 Gods Of Metal, avere il nostro camerino incastonato tra quello di Malmsteen, Morbid Angel e Judas Priest…avere avuto sempre riconoscimenti per la nostra vena creativa, per la nostra originalità, per la carica live. E come non pensare agli innumerevoli aneddoti che potremmo raccontare a cavallo tra il tragico, il grottesco e il surreale che non faccio fatica a comprendere tra le cose che meritavano di essere vissute.

Rs. Grazie ancora per la vostra disponibilità. Potete concludere l’intervista dandoci conto delle prossime tappe live che vi vedranno protagonisti?
Stiamo lavorando su diversi fronti, contiamo di dare qualche news a breve. Intanto vi segnalo l’imminente uscita del video di BARF TOGETHER realizzato presso gli UNDERROOM Studios. Rimanete sintonizzati, come si dice in questi casi, e iscrivetevi alla pagina www.facebook.com/infernalpoetry per tenervi sempre aggiornati. Stay nervous!

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Dafne Perticarini
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