Di Wow, il doppio cd che segna il ritorno sulle scene dei Verdena, in questi giorni protagonisti di una lunga serie di sold out nei club e nei palazzetti di tutta Italia, è sicuramente uno degli eventi musicali dell’anno.
Abbiamo approfondito la genesi e lo sviluppo dell’album con Alberto Ferrari in questa lunga ma intensa intervista.
RockShock. Wow non è un concept. Il suono è profondamente acustico e sognante, lontano dai fulgori elettrici che vengono associati al vostro gruppo. Canzoni suggestive di un suono lontano da quello degli esordi, un disco sviluppato con ossessione perché dopo un brano c’era sempre spazio per scriverne un altro. Quanto è stato faticoso finire questo disco?
Alberto Ferrari. E’ stato molto faticoso, soprattutto all’inizio quando abbiamo iniziato a scrivere quello che sarebbe diventato “WoW”. Con la chitarra per me era diventato impossibile creare qualcosa di soddisfacente. Il pianoforte è stata una svolta che mi ha anche ‘alleggerito’. Devo dire però che la fase finale di mix e mastering è stata forse la più dura in assoluto.
RS. Alla Universal saranno stati scettici quando è stato proposto il doppio album, soprattuto venduto al prezzo di uno solo. C’è stato un momento in cui avete pensato di accorciare o non avete avuto alcuna remora nel pubblicare un disco che potrebbe soffrire la lunghezza eccessiva?
AF. Sì, ma non perchè ci è stato imposto. Abbiamo cominciato a pensare che il tutto potesse davvero risultare ‘troppo’. Abbiamo provato quindi a togliere qualche brano per creare una scaletta che potesse rientrare nel minutaggio di un disco solo ma ci siamo subito resi conto che così WoW non avrebbe avuto il respiro che volevamo e paradossalmente sarebbe diventato molto più pesante e di difficile approccio condensato in un disco solo.
RS. Non nascondo di aver recensito il disco affermando che mi piace per meno della metà. Il brano di lancio e le prime 5 tracce di WOW mi hanno entusiasmato parecchio, canzoni diverse, originali, una freschezza disarmante. Ma poi si sono susseguiti brani indolenti come Adoratorio, le Scarpe Volanti o Attonito che hanno stravolto le personali aspettative iniziali. Gusti personali, certo, ma non avevate il timore che la troppa carne al fuoco nella varietà delle composizioni comprometta l’ascolto globale?
AF. Mi spiace non ti sia piaciuto… Comunque no, in realtà come ti dicevo prima dopo una serie di prove in cui abbiamo cercato di accorciare, stringere, tagliare ci sembrava davvero che il disco così come l’avevamo concepito era la cosa che doveva essere pubblicata e arrivare alle orecchie del pubblico. Abbiamo fatto centinaia di scalette diverse, con minutaggi diversi e con canzoni diverse ma l’alchimia del disco a parer nostro ne risentiva. Così abbiamo mantenuto la nostra idea di partenza cercando di dare ad ognuno dei dischi la giusta dinamica.
RS. In giro dicono: “Wow assomiglia a Mellon Colie”, “no al White Album”, “che dite, è il Sgt. Peppers italiano”, oppure fanno paragoni con Anima Latina di Battisti ed altri plagi concettuali. Sinceramente, quali influenze avete avuto per scrivere i pezzi? C’è stato un disco particolare a cui vi siete ispirati prima dell’inizio delle registrazioni?
AF. Sinceramente non saprei. Quando registriamo, in particolare io che mi occupo anche della produzione, mastering ecc…, mi concentro moltissimo sul lavoro e ho davvero poco tempo da dedicare ad altri ascolti. Sicuramente il Battisti di Anima Latina è uno di quei dischi che ho letteralmente consumato. Poi ci sono i soliti Beatles che per me sono un’ossessione. Ma abbiamo anche ascoltato i Beach Boys, Brian Wilson solista, Paul McCartney, Flaming Lips, Residents, Melvins… Non saprei però davvero dirti quanto di questo sia entrato nel disco e quanto sia rimasto ‘latente’ nelle nostre teste.
RS. C’è stato un cambiamento enorme da un paio di dischi a questa parte. Evolversi è un dovere, abbandonare le origini è rischioso: siete ancora affezionati al sound dei primi album, o ve ne siete disamorati e riproporrete in tour alcuni brani giusto per amore dei fans? Trovate ancora stimoli a suonare i primi dischi?
AF. Indubbiamente i primi dischi sono quelli che sento più ‘lontani’ e mi ritrovo molto di più in Requiem piuttosto che ne Il Suicido Dei Samurai. Credo che Requiem abbia segnato un po’ la nostra ‘maturità’ (?). E’ il primo disco completamente nostro, nessun intervento esterno. Requiem è il nostro suono, così come lo è WoW. Detto questo però devo anche dire che ci sono dei vecchi pezzi che ci piacciono un casino e che troviamo molto divertenti anche da suonare dal vivo. Pezzi come Centrifuga, Viba, Il Tramonto degli Stupidi o Starless piuttosto che Spaceman o 17 Tir nel cortile ci piacciono ancora. Per adesso WoW ha il sopravvento anche perchè non c’è stato molto tempo per provare prima del tour a abbiamo lasciato fuori gran parte del repertorio.
RS. Avete sviluppato una buona abilità strumentale con gli anni. Luca, oltre alla batteria, mi sembra si diverta moltissimo con i sintetizzatori. Come è nato invece l’intenso rapporto con il pianoforte, che domina le tracce di questo disco?
AF. Come dicevo prima è stata un po’ un’esigenza. Ogni volta che mi mettevo alla chitarra facevo fatica a trovare qualcosa che potesse andare bene e impazzivo. Al pianoforte tutto diventava più facile e avevo la sensazione che quella fosse davvero la strada da seguire. Dal canto suo Luca ha sempre avuto la passione per i synth che ha usato in ‘dosi’ minori anche in altri dischi. Poi ci siamo divertiti un sacco anche ad inserire un ‘tappeto rumoroso’ con kazoo, loop, tastiere, xilofoni, fisarmoniche…
RS. Devo rompervi le palle con la storia dei testi troppo criptici ed evocativi che si fa fatica a comprenderli quando vengono cantati, soprattutto se registrati con voce soffocata dagli strumenti. Capisco che per voi le parole non sono altro che un suono a sorreggere le vostre melodie, in Italia si ha una forte tradizione cantautorale e la gente, nonostante ascolti le peggio vaccate in inglese, pretende dagli artisti italiani testi di alto livello letterario. Su un forum ho letto “Se si mettono anche a fare bei testi diventano una band pazzesca!”. Quando Manuel Agnelli vi ha seguiti vi ha dato qualche consiglio a riguardo?
LF. No Manuel ci ha lasciati molto liberi di fare e portare avanti le nostre idee. Anche per i testi è prevalsa questa filosofia e non ricordo nessun consiglio.
RS. La musica italiana all’estero fa sempre fatica ad essere apprezzata. Non pensate che scrivere in inglese vi risparmierebbe dalle critiche sui testi in italiano, riuscendo nel contempo ad esportare la vostra musica anche all’estero?
AF. Sicuramente scrivere in inglese è un’idea che ci è passata più volte per la testa ma credo anche prima di poterla prendere seriamente in considerazione dovrei avere innanzi tutto una pronuncia molto buona.
RS. Un disco come WOW probabilmente ad un esordiente non verrebbe mai pubblicato da una major come la Universal. Quanta fatica fanno artisti del vostro calibro ad emergere, considerando i vostri trascorsi? Che consigli dareste ad un gruppo per poter fare ascoltare la propria musica senza accettare i compromessi?
LF. Beh, fatica se ne fa. La vita in studio per noi è a tratti alienante e quella in tour è fisicamente sfiancante. Noi ci abbiamo sempre creduto e quando ci credi la fatica passa in secondo piano. Il consiglio che darei è proprio questo, di crederci e di essere onesti in prims con sé stessi.
RS. Sembra che Lonitorp sia la più apprezzata del disco, a sentire in giro. Come anteprima avete preferito lanciare il video di Razzi Arpie Inferno e Fiamme. Voglia di shockare le aspettative, necessità di far capire che questo disco è diverso, o genuino desiderio di fare qualcosa di diverso?
LF. Razzi Arpia Inferno e Fiamme è stata la prima canzone che è stata composta per WoW e ci sembrava in qualche modo il pezzo giusto per (ri-)partire.
RS. Avete trovato la giusta dimensione, dopo tanti anni, chiudendovi nel vostro “pollaio”, lo studio di registrazione, godendo della libertà di comporre senza essere influenzati da nessuno, talmente affiatati che mi chiedo come fate a superare i momenti di incomprensione. Gli ultimi dischi si può dire che siano stati prodotti esclusivamente da voi. E’ questa la strada che gli artisti emergenti dovrebbero seguire per non scendere a compromessi o ci sono ancora produttori che lasciano abbastanza liberi di fare i dischi che si ha in testa?
LF. Per la mia esperienza credo che almeno inizialmente la figura del produttore sia necessaria, anche per aprirti ad un ventaglio di esperienze che ti fanno crescere. Noi abbiamo sempre avuto la fortuna, sia con Manuel che con Giorgio, di aver goduto anche in questa fase di una notevole libertà artistica. La loro figura è stata un intervento sulle registrazioni e sui suoni. Abbiamo imparato molto e tutto questo è stato necessario per capire da che parte volevamo andare.
RS. I Verdena e il cinema. I Sonic Youth hanno da poco pubblicato il disco del film francese “Simon Werner a Disparu”, un album completamente strumentale. Se vi proponessero di scrivere una colonna sonora come reagireste?
LF. Ci piacerebbe moltissimo! In verità ce l’hanno già chiesto ma non avevamo tempo per portare avanti la cosa con l’impegno necessario e abbiamo dovuto rinunciare.
RS. Dal cinema alla letteratura. Agnelli e Godano hanno pubblicato anche dei libri. Qualcuno di voi pensa di seguire lo stesso percorso letterario un giorno ?
LF. Per adesso no, ma forse un giorno… chissà!
RS. Se nel prossimo disco concedereste di aprirvi ad una collaborazione artistica (già avuta tra l’altro con Manuel Agnelli e Mauro Pagani) potrebbe esserci spazio ad un duetto? E con chi vi piacerebbe farlo?
LF. Perché no? Mi piacerebbe solo che fosse una persona con cui ci sia anche un bel rapporto d’amicizia.
RS. E’ già iniziato il vostro tour. Ci sono delle novità ai concerti, oltre alla variazione di scaletta? Musicisti di supporto, ospiti, gruppi di spalla, figuranti nelle canzoni, proiezioni…
LF. La novità è essenzialmente una e si chiama Omid Jazi. Si alternerà con me alla chitarra e alle tastiere oltre che occuparsi dei cori. I gruppi spalla sono, come per tutti i tour, scelti da noi nei limiti del possibile e dove la situazione lo permette. Abbiamo anche pensato a delle proiezioni ma non abbiamo avuto il tempo si seguire questa cosa e abbiamo preferito rinunciare.
RS. Dischi e DVD live all’orizzonte? Mi sembra che manchi nel vostro repertorio e i fans sbavano su queste cose. O prima ci sarà qualche greatest hits imposto dalla casa discografica?
LF. Per adesso nessuna di queste cose, magari un 7” autoprodotto.
Gli ultimi articoli di Luca Paisiello
- Malarima: Pesci Combattenti - December 13th, 2024
- Ozora: recensione di Litanie - November 26th, 2024
- Gli Yo Yo Mundi festeggiano i 35 anni di carriera - November 16th, 2024
- Zagreb: recensione di Terra Bruciata - November 9th, 2024
- Michael Kepler: recensione di Mask Of The White Ape - October 28th, 2024