RockShock ha intervistato Daniele “Brian” Autore, frontman dei Vanilla Sky, band pop-punk romana giunta al decimo anno di carriera con il nuovo album The Band, Not the Movie (in uscita il 18 dicembre), il primo pubblicato dalla loro etichetta The Alternative Factory Records. Il titolo riflette ironicamente il motto che accompagnava i social network del gruppo, spesso confuso con l’omonimo film: dodici tracce in lingua inglese, inedite e tutte da scoprire.
In collaborazione con Radio Stella Piemonte (che ci ha gentilmente concesso l’audio integrale dell’intervista, che potrete così riascoltare in due parti), abbiamo parlato non solo della loro ultima fatica discografica, ma anche delle scelte musicali passate e della recente separazione dalla Universal.
RockShock. Parlaci del vostro nuovo disco The Band, Not The Movie:
Brian. Fa schifo! Scherzo, volevo dire qualcosa di scioccante (ride, ndr). L’album è un po’ un ritorno al genere con cui abbiamo iniziato, un po’ più aggressivo rispetto ai primi, con suoni più distorti, un ritorno al pop-punk della prima ondata, però con una maturità diversa.
RS. Cosa cambia rispetto a Changes, il disco che nel 2007 vi ha portato alla ribalta internazionale?
B. Non ci sono più le “italianate”, per la prima volta affrontiamo il discorso discografico da soli come all’inizio, possiamo rappresentare veramente quello che noi siamo, senza le restrizioni da parte della Universal: non che ci avessero mai detto di fare determinati pezzi, ma erano loro a scegliere la scaletta tra un ventaglio di brani e quindi venivano selezionati quelli pop-oriented.
RS. Ci sarà spazio anche per delle cover, visto il successo di Umbrella e Just Dance?
B. Non in questo disco, ma abbiamo già registrato il Punk is Dead EP composto interamente da cover, che per adesso è uscito solo in Giappone e speriamo di pubblicare presto anche in Italia.
RS. Alcuni fan sostengono che la vostra versione di A Thousand Miles sia riuscita meglio della canzone originale: qual è il segreto?
B. Tutte le noste cover sono frutto dei Vanilla Sky, questo non significa riprodurre l’arrangiamento originale, perché quella sarebbe la copia; è più una questione di interpretare una canzone, riarrangiarla e farla tua, per vendere un prodotto più interessante.
RS. Il primo singolo estratto dal nuovo album si chiama Ten Years: cosa è cambiato per voi in questi dieci anni di attività?
B. E’ cambiato tutto, completamente. Prima la line-up, poi la cosa fondamentale, cioè la nostra visione della musica: quando abbiamo iniziato eravamo quattro sprovveduti con il sogno americano del pop-punk, come tanti ragazzi che oggi vengono da noi a registrare e ci chiedono “come posso fare per diventare famoso?”. Il music business è un vero lavoro: in dieci anni abbiamo sicuramente più esperienza, è cambiato lo stile e il momento storico, perché oggi i dischi non si vendono più.
RS. Si può dire lo stesso per le vostre influenze musicali?
B. Ascoltiamo molta poca roba italiana: dagli Arcade Fire ai Kings Of Leon, ma anche il pop-punk dei Blink e Yellowcard (anche se molto meno rispetto a quando eravamo più giovani), poi gli Oasis, l’elettronica… se si riesce a capirla, la musica è tutta bella.
RS. Con le dovute proporzioni, paragonando la vostra carriera a quella dei Blink e degli Yellowcard, a quale di questi due gruppi vi sentite più vicini?
B. Senza dubbio agli Yellowcard, anche per un fatto di notorietà, loro sono uno dei tanti gruppi che ha suonato il genere. I Blink invece sono i leader indiscussi a livello mondiale, anche se oggi si stanno dando un tono, vogliono uscire dalla nomea di gruppo pop-punk per diventare un gruppo rock. Onestamente, l’ultimo loro esperimento non mi sembra molto riuscito: io apprezzavo tantissimo il punk-hardcore di “Dude Ranch”, anche il self-titled è uno dei più belli che hanno fatto.
RS. Il vostro precedente lavoro Fragile è stato un esperimento o un passaggio naturale del vostro percorso?
B. E’ uscito a distanza di tanti anni da Changes, eravamo ancora sotto la Universal, che voleva portare i Vanilla Sky su un piano più radiofonico, perché secondo loro era l’unica chiave per arrivare alle grandi masse: hanno scelto otto brani e poi ci hanno lasciato decidere le altre tracce, allora abbiamo inserito ad esempio Back e Inner Conspiracy che erano un po’ vecchio stile. Per farvi capire come ragionano le multinazionali, abbiamo registrato quell’album e abbiamo pagato di tasca nostra per farlo sia in italiano sia in inglese, ma la versione in inglese non l’hanno mai fatta uscire, lo abbiamo fatto solo in Giappone perché avevamo già accordi con un’altra etichetta: siamo sempre stati abituati a fare pezzi in inglese, alcune canzoni in italiano suonavano un po’ forzate. Poi abbiamo ripreso in mano le redini del gruppo e abbiamo prodotto i video a nostre spese: quello è stato un capitolo della band diverso dagli altri.
RS. Cisco (il bassista, ndr) verrà riconfermato dopo il tour?
B. Tra i commenti su YouTube, spesso leggo “Si sente che se ne sono andati Cisco e Luca e i Vanilla Sky si sono rammolliti”, quando invece la maggior parte di quei brani erano già stati scritti con loro e senza i due nuovi componenti. Allo stesso modo, adesso che abbiamo avuto un ritorno al pop-punk la gente scrive “Si sente che è tornato Cisco”, mentre queste canzoni erano già state composte prima del suo ritorno. Per adesso Cisco suona con noi, ma il fatto è che vorrebbe mantenere il lavoro che ha trovato nel frattempo: se non ci saranno problemi, potrà sicuramente continuare.
L’audio-intervista integrale, parte 1
L’audio-intervista integrale, parte 2
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