In occasione delle date italiane dei The Clockworks ho scambiato quattro chiacchiere con James McGregor, voce e chitarra della band.
RS: Ciao, vuoi raccontare ai nostri lettori qualcosa sulla vostra band, chi siete e come vi siete incontrati?
The Clockworks: Siamo i The Clockworks, una band irlandese di Galway. Tre di noi sono amici dai tempi della scuola e hanno deciso di formare una band e si sono innamorati del farlo insieme. Una volta formati ufficialmente abbiamo incontrato Tom, il bassista e siamo diventati la band di quattro elementi che vedete ora.
RS: Come avete scelto il nome The Clockworks?
The Clockworks: Avevamo pensato a tantissimi nomi e iterazioni, tutti veramente terribili e avevamo intenzione di scegliere qualcosa di nuovo. Un giorno eravamo nella sala prove, in piedi, in silenzio mentre cercavamo dei nomi e io (James nda) ho notato che l’orologio a pendolo rotto nell’angolo della stanza funzionava e quindi ho detto “Ah, l’orologio funziona” e i ragazzi hanno pensato che stessi suggerendo “The Clockworks” come nome della band e abbiamo deciso che fosse molto adatto.
RS: È un periodo davvero florido di uscite e di band fighissime quello attuale in Irlanda, credo che il vostro sound però si distacchi un po’ dal post punk proposto da molti vostri conterranei e si avvicini semmai maggiormente al britpop anni 90. Che ne pensate?
The Clockworks: Sì, ci sono un sacco di artisti e gruppi irlandesi di grande talento che hanno la possibilità di prosperare adesso, è molto bello da vedere. Sono d’accordo con te, non penso che suoniamo particolarmente post-punk e non penserei nemmeno che suoniamo in modo simile alle band britanniche degli anni ’90. È difficile giudicare te stesso, e forse non è utile pensarci, rispetto ad altri gruppi/artisti. Cerchiamo di scrivere le migliori canzoni possibili, indipendentemente dalla nicchia, dal genere o dal tipo a cui si adattano. Quindi, se una certa canzone avesse bisogno di suonare post-punk per essere la migliore versione di se stessa, allora scriveremmo una canzone post-punk. Immagino che le nostre registrazioni siano il risultato del nostro tentativo di scrivere le migliori canzoni possibili, filtrate da tutto ciò che abbiamo ascoltato in passato, date le risorse a nostra disposizione.
RS: Quali sono le band (nuove o già affermate) che più seguite?
The Clockworks: Ascoltiamo così tanta musica che è difficile dirlo. Ci siamo formati grazie all’amore per le band che stavano decollando quando eravamo giovani come Arctic Monkeys, The Streets e The Strokes. Da allora siamo influenzati tanto da Frank Sinatra e dai Beatles quanto da Arlo Parks, Kendrick Lamar, Courtney Barnett o Phoebe Bridgers. Il nuovo album degli Yard Act è davvero fantastico. Adoro anche il nuovo album degli Elbow, l’ho ascoltato ripetutamente da quando è stato pubblicato.
RS: Com’è stato il processo creativo dell’album? Quando entrate in studio, come vi rapportate ed equilibrate fra di voi?
The Clockworks: La creazione dell’album è stata una delle esperienze più soddisfacenti che abbiamo mai provato come band. Abbiamo provato a lasciare tutto fuori dalla porta dello studio ed è diventato questa realtà alternativa e intensificata dove non esisteva nulla tranne le canzoni, l’album e la storia.
RS: Attualmente siete in tour in Europa, tour che ha toccato anche l’Italia, che risposta avete avuto dal pubblico?
The Clockworks: La risposta è stata davvero incredibile. Siamo stati davvero grati di vedere tanta gente in ogni posto in cui abbiamo suonato, alla ricerca di un’esperienza musicale proprio come la nostra. Il pienone di Bologna è stato uno spettacolo bellissimo, ne siamo rimasti entusiasti.
RS: Grazie davvero per la disponibilità e per la vostra musica. Vi auguro tanta fortuna.
The Clockworks: Grazie a te Fabio, ti auguro il meglio.
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