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Intervista ai Rashomon

I Rashomon di Kheyre Yusuf Abukar hanno pubblicato da poco il loro secondo album, Santo Santo Santo, dopo cinque anni dal precedente: li abbiamo intervistati

I Rashomon di Kheyre Yusuf Abukar hanno pubblicato da poco il loro secondo album, Santo Santo Santo, dopo cinque anni dal precedente acclamato debut Andrà tutto bene.

In seguito ad alcuni cambi di line-up, il sound della band emiliana è andato definendosi ancora meglio, fino a raggiungere il risultato di questo secondo ottimo lavoro in cui testi e cantato ispirati al mondo del rap vanno fondendosi con melodie squisitamente pop, il tutto installato su solide basi rock.

Abbiamo intervistato la band per scoprire qualcosa di più su questo album e sulla loro particolare concezione della musica, della vita e… degli eroi.

 

RockShock. Quali sono le influenze della band e come queste hanno portato alla nascita dell’album?

Rashomon. I Rashomon sono nati dal ventre nero del blues. Hanno bevuto la pozione magica dei White Stripes e dei Black Keys, hanno imparato il rap e l’hip hop passando da Kanye West ai Death Grip e Lady Lykez, hanno scoperto l’elettronica da Amon Tobin a Skrillex e si sono confrontati con il grande indie nostrano dei Tre Allegri Ragazzi Morti e del Teatro Degli Orrori.

I Rashomon prima dei Rashomon e dopo i Rashomon amano la musica degli anni ‘90, tre nomi su tutti: Nirvana, Blur e Prodigy; i grandi cantautori, Waits, De André, Dalla, Dylan, Bowie; il metal, Bach, Frisell e le Spice Girls. Immaginiamo che tutta questa roba entri nel disco ma non sappiamo esattamente come (tranne per la cover dei Prodigy, dove la corrispondenza è piuttosto ovvia…).

RS. È stato un lavoro lungo e pieno di cambiamenti fra sound e line up: soddisfatti del lavoro ottenuto? Avreste cambiato ancora qualcosa?

R. Siamo molto soddisfatti. È stato un lungo periodo fatto di entusiasmi travolgenti che si sono rincorsi tra una crisi e l’altra. Incursioni prepotenti di vita privata che sconvolgono i lavori, diverse scommesse perdute ed un’enorme fiducia nel potenziale di questo progetto. Tutto questo ha portato ad un disco più maturo, più sfaccettato, più cattivo del precedente. Nessun rimorso, nessun ripensamento.
RS. “Schiuma Spray” è autobiografico? Se sì, esiste in questo caso del pentimento? (alle volte avreste preferito il matrimonio con Giulia o la carriera nel basket…?)

R. Sì, in realtà quasi tutti i pezzi sono autobiografici. Semplicemente per questo brano ho deciso di indugiare meno sull’aspetto metaforico e concentrarmi sulla cronaca. Riguardo i fatti e le sensazioni provate a quel tempo, quello della pre-adolescenza e dell’adolescenza, più che di pentimento si può parlare di nostalgia, della consapevolezza che nel bene o nel male tutte le storie legate a uno dei momenti più difficili della crescita sono e rimarranno importanti.

RS. Descrivete l’anti-eroe, ma con questo lavoro è come se voi stessi voleste farvi giustizia da soli. Perché? Cosa pensate a riguardo di questa analisi?

R. L’essere un anti-eroe è solo una delle tante componenti del supereroe di Santo Santo Santo. In questo senso ne coglie la sua arrendevolezza, la sua codardia, la sua fragilità. Quanto questo supereroe voglia farsi giustizia da solo (e noi con lui) non è chiarissimo. È più una questione di resistere, nonostante appunto tutta la fragilità di cui sopra. Ognuno vive le sue battaglie e in esse si ritrova molto spesso piuttosto solo, senza dei, senza mercati, senza società. Ma forse appunto Santo Santo Santo parla più del lato passivo di queste battaglie, di affermazione di sé e dei propri principi attraverso pratiche di resistenza, piuttosto che di una volontà di farsi giustizia. Forse perché siamo convinti che la giustizia passi necessariamente attraverso una struttura sociale, di regole condivise e di libertà definite attraverso il confronto? Passiamo alla prossima domanda…

RS. Ok allora, cos’è Mucho Mojo?

R. Il mojo è un elemento magico nella poetica del blues, una roba piuttosto nera, che viene dal voodoo afro americano. Il mucho mojo del disco è un rito per celebrare il nostro brutto mondo, e per sopravvivere ad esso.

RS. Le note stampa parlano di una serie di videoclip a puntate, interpretati da voi stessi. Ci raccontate questa idea?

R. Siamo musicisti più o meno a tempo perso, facciamo tutti altri mestieri ma il nostro sogno nel cassetto è quello di essere grandi star hollywoodiane! I vari elementi di questo disco, dalla poetica all’artwork, più alcuni potentissimi shocks esogeni tipo l’uscita di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, ci hanno convinto a fare il grande passo e ad intraprendere una carriera nel mondo del cinema. È uscito il primo episodio di una serie che affronta i grandi temi dei supereroi e della lotta tra i bene e il male. Il plot in un guscio di noce: i cattivissimi cattivi (ledface e il cannibale) hanno sconfitto tutti i supereroi e ridotto la città in macerie. Proprio da queste macerie nascono nuovi eroi, polverosi e perversi (generale 18 stelle e doctor usa), ultima speranza dell’umanità. I cattivi sfidano i buoni invitandoli allo scontro finale. Le prossime puntate vi condurranno attraverso un viaggio dentro e fuori i protagonisti fino ad arrivare allo scontro finale di cui sopra. Su questo ovviamente non possiamo dirvi ancora nulla…

 

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