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Intervista ai Baustelle: disobbedire poeticamente alla vita

Impegnatissimi ma disponibili, tra una data e l'altra i Baustelle si concedono una piccola pausa rispondendo alle domande di RockShock. Francesco (Bianconi) e Claudio (Brasini) i nostri piacevoli interlocutori

In un marzo stipato di date come un uovo, i Baustelle trovano il tempo per tirare il fiato e rispondere alle nostre domande. I pensieri che prendono corpo sono quelli di Francesco Bianconi e Claudio Brasini, rispettivamente voce e chitarre del gruppo. Alla fine una sola certezza: è la poesia che ci salverà dalla (mala) vita.

RockShock. Allora, com’è andata questa prima esperienza lavorativa con una major? Quali e quante limitazioni, se ci sono state, e di quanta libertà artistica avete goduto durante le fasi di realizzazione dell’album? Alla fine siete soddisfatti del prodotto finale? Era così che “La Malavita” vi suonava in testa?

Francesco. Direi che è andata benissimo. Limitazioni non ce ne sono proprio state. Nessuno della Warner è mai venuto in studio a vedere/controllare cosa stessimo combinando. Siamo molto soddisfatti del prodotto finale, non cambierei quasi niente se potessi tornare indietro

Claudio B. All’inizio temevamo che il passaggio ad una major comportasse anche delle limitazioni a livello artistico, è normale, e poi è quello che tutti dicono… Per noi non è stato così, fortunatamente. Abbiamo consegnato alla Warner il master de “La Malavita” così come lo puoi ascoltare oggi, per giunta con loro grande soddisfazione. Anche per noi è stata una grande prova, perché volevamo proprio quel disco e quel suono.

RS. Sempre a proposito di suoni, in occasione dell’uscita del precedente “La Moda del Lento” Francesco ha definito il sound dei Baustelle: “…un bel frullato di Kraftwerk, discomusic, Celentano, Blondie, Piero Ciampi e Armando Trovajoli…” aggiungendo che, comunque, questa opinione l’avrebbe potuta anche cambiare il giorno dopo. Come suona, oggi, “La Malavita”?

Francesco. Avevo dato quella definizione non per il suono dei Baustelle in generale, ma per il suono de “La Moda del Lento”. Questo disco ha inevitabilmente un’anima più rock, ci sono più chitarre. E’ un frullato diverso.

Claudio B. …quel disco contiene dei grandi pezzi, mi vengono in mente “Bouquet”, “En”, “B&C”, “La Canzone di Alain Delon”. E’ stato un disco sofferto, mancavano i soldi per portarlo in fondo, avevamo cambiato alcuni membri della band, e poi (forse) come tutti i secondi lavori, abbiamo voluto strafare; ricordo che in alcune canzoni c’erano più di 50 tracce audio!!! Riascoltandolo adesso provo le stesse sensazioni di quando uscì, ovvero troppe programmazioni, ma non lo rinnego.

RS. Com’è nata la collaborazione con Carlo U. Rossi e quali sono state le principali novità che ha apportato al vostro sound?

Francesco. Il nostro manager, Roberto Trinci, ci ha consigliato Carlo. Volevamo non tanto un produttore artistico, quanto un fonico creativo e, mi si passi l’espressione, con le palle. Volevamo arrivare in studio con le idee molto chiare sugli arrangiamenti e una persona che facesse suonare queste idee nella maniera più potente e hi-fi possibile. In questo senso, Carlo ha fatto un ottimo lavoro. Abbiamo imparato tantissimo da lui.

Claudio B. Abbiamo pensato a Carlo perché volevamo un veterano e allo stesso tempo un grandissimo tecnico del suono; ha messo la sua esperienza a nostra disposizione. Direi che il risultato è più che soddisfacente.

RS. “La Malavita” ovvero il male di vivere. Tra cronaca nera, revolver, guerre che finiscono… male e il nulla che ci circonda e in qualche modo ci permea come si sopravvive a/in questo terzo millennio?

Francesco. Si sopravvive male. Bisogna cercare di spiazzare la vita, disorientarla, attraverso forme di “disobbedienza poetica”. Questo non significa necessariamente scrivere poesie, quanto piuttosto vivere poeticamente, tendere all’arte, in ogni cosa che facciamo. E’ difficile, ma vale la pena tentare.

RS. E’ possibile sconfiggere la “malavita” con una forma di innocente e romantica follia oppure è proprio questo disagio a condurci inevitabilmente alla follia, facendo di “Sergio”, il matto del paese, una vittima da rinchiudere e reprimere?

Francesco. Entrambe le cose. Sergio è una vittima della “malavita” e allo stesso tempo, attraverso la sua cosiddetta follia, come dicevo prima, la spiazza. Ogni folle parla un discorso poetico.

RS. Se non può essere la follia, allora, sarà l’amore a salvarci dal nulla? “Cuore di Tenebra”, nel finale, sembra suggerirci proprio questo…

Francesco. L’amore, vissuto in maniera libera e, di nuovo, “poetica”, può essere una soluzione.

RS. Con riferimento ai vostri testi, oggi “Un Romantico a Milano” non se la passa granché bene (“…Fuggi. Cosa fuggi non c’è modo di scappare…”). Ma anche in provincia le cose non sembrano andare per il meglio (“…Estetica anestetica Provincia cronica…”). Qual è attualmente il posto dell’anima dei Baustelle?

Francesco. Non credo si possa parlare di “posto dell’anima”. La vita è “mala” in sé, non c’è molto da ridere né in provincia né in città. La vita, purtroppo, la devi attraversare, dovunque tu sia. La felicità può risultare soltanto dal come la si attraversa. E secondo me l’unico modo è attraversarla creativamente.

Claudio B. Tutti e nessuno.

RS. “A Vita Bassa” mette in musica e forma poetica un interessante articolo di Marco Lodoli apparso su La Repubblica nel 2004. E’ un testo rispetto al quale marcate comunque delle distanze oppure ne condividete l’assunto e, soprattutto, le conclusioni (“…Ed i famosi ridono e tutto il resto è inutile…”)? Anche per voi ciò che non appare in tv non è?

Francesco. Abbiamo tratto una canzone da quell’articolo proprio perché lo sentivamo molto vicino alla nostra lettura della società italiana. Quindi non marchiamo distanze, anzi. Viviamo in un paese allo sbaraglio, dal punto di vista culturale. La tv è un potente amplificatore di questo disastro.

RS. Anche se in questo ultimo lavoro le tematiche si fanno più adulte rispetto all’esordio, legato fin dal titolo dell’album ad un immaginario giovanile, una sottile vena di malinconia pervade un po’ gran parte della vostra produzione. I sapori balneari degli anni ’60, le atmosfere e i colori dei poliziotteschi degli anni ’70, la cupezza dell’electro-wave degli anni ’80… Da dove nasce questa vostra attitudine (al) “vintage”?

Francesco. Non so proprio rispondere, davvero. Posso solo dirti che amo molto gli anni ’60 e ’70, due decenni abbastanza rivoluzionari: per la musica, la cultura, il design…

Claudio B. Ritengo che si tratti di periodi molto stimolanti da un punto di vista artistico; c’era più ricerca verso l’originalità, verso lo stile, con mezzi tecnicamente inferiori. Personalmente mi vedo più negli anni ’60 e fine ’70; gli anni ’80 non mi piacciono molto…

RS. (Per Francesco) Rispetto alle canzoni del precedente “La Moda del Lento” da te definite “…molto più autobiografiche di quelle di Sussidiario…”, quanta autobiografia c’è in questi ultimi testi? Quanto li senti vicini?

Francesco. Li sento vicinissimi. Tutte le canzoni di questo disco hanno una componente autobiografica.

RS. “Sussidiario Illustrato Della Giovinezza” uscì nel 2000, “La Moda del Lento” è del maggio 2003, “La Malavita” è stato pubblicato nell’ottobre 2005. C’è una scadenza quasi “matematica” tra un album e l’altro (circa due anni e mezzo). Questo perché, riprendendo una definizione di Francesco sui Baustelle, la “…macchina per scrivere belle canzoni…” ha bisogno di un regolare periodo di necessario rodaggio oppure è solo una semplice casualità?

Francesco. E’ una semplice casualità. Fosse per noi, faremmo uscire un disco ogni due mesi. Il problema è che in ambito indie spesso mancano i soldi e portare a termine la lavorazione di un disco è una lunga odissea. Speriamo che da questo disco in avanti, con alle spalle una struttura più potente, si possano accorciare i tempi fra un’uscita discografica e l’altra. Sono dell’idea che se componi parecchio materiale (fortunatamente per noi fino ad ora è stato così), sia giusto farlo uscire e non lasciarlo troppo nel cassetto.

Claudio B. Casuale, casuale

RS. Come sta andando il tour? Che tipo di spettacolo state portando in giro e come risponde il pubblico dal vivo ai nuovi brani? Ci sarà anche una session estiva?

Francesco. Sta andando molto bene. Suoniamo tantissimo e a cachet buoni. Per la prima volta nella nostra storia riusciamo a mangiare con la musica. Il pubblico è molto partecipe. E’ sorprendente vedere tante persone cantare le tue canzoni. Suoniamo molte canzoni de “La Malavita” e “Sussidiario…”, qualcosa de “La Moda del Lento” e anche qualche cover. Sì, saremo in tour anche per tutta l’estate.

Claudio B. Il tour sta andando molto bene; stiamo girando per tutta l’Italia con buona risposta da parte del pubblico. I brani dell’ultimo album poi si prestano molto bene per l’esecuzione live e la band è molto affiatata, ci divertiamo molto. La tournèe estiva partirà verso i primi di giugno e l’attuale “scaletta” sarà ampliata con altri pezzi e altre cover. Ma per adesso il tutto è Top Secret…

RS. (Per Francesco) In conclusione, una curiosità. Ho letto che “Il Corvo Joe” l’hai scritta per Celentano (insieme ad un’altra canzone). Era solo un’idea, un modello di riferimento, oppure gliele hai proposte e non se n’è fatto poi nulla? E, in questo secondo caso, perché?

Francesco. Il mio editore mi aveva detto che Celentano cercava pezzi per il nuovo album. Così io scrissi due canzoni, “Il Corvo Joe” e “Re del Rock and Roll”. Gli sono state proposte, ma non mi hanno fatto più sapere niente.

RS. Allora, ancora complimenti e… ci si ritrova tra due anni e mezzo!

Francesco. Grazie per i complimenti, ma spero che ci si ritrovi prima…

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