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Intervista agli Ocean Colour Scene

In occasione dell’unica data italiana del loro tour, li abbiamo incontrati per conoscerli più da vicino e per cercare di carpire il segreto della loro carriera ventennale. L'intervista, la cronaca del concerto e la fotogallery

Ocean Colour Scene

Roma, 18 marzo, Hard Rock Cafe

live report

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Strano posto l’Hard Rock Cafe per fare un concerto come quello in programma stasera. Nel cuore della Via Veneto di felliniana memoria, è meta di turisti-pellegrini che ne saccheggiano lo shop di gadget e souvenir; qualcuno addenta qualche hamburger, altri si perdono a studiare le memorabilia di cui sono ricoperte le pareti. Nessuno pretende di ascoltarci pure della musica dal vivo.

E invece gli Hard Rock Cafe di tutto il mondo si sono fatti promotori di una campagna di beneficenza a sostegno dell’infanzia abbandonata in India. Per questo nobile scopo sono stati organizzati concerti nei locali della catena di tutto il mondo e per alcune date europee sono stati coinvolti gli Ocean Colour Scene, che non avevano mai suonato a Roma prima d’ora.

Il locale non si presta benissimo a un live: praticamente il cantante s’è esibito davanti a una gigantesca colonna.

Un palco discreto, un ottimo impianto audio e una band in stato di grazia ha però lasciato pienamente soddisfatti gli intervenuti, splendidi quarantenni, immarcescibili mod, fans della prima ora e molti rappresentanti della comunità anglofona a Roma.

Gli Ocean Colour Scene, seppure nell’ora e mezza di ordinanza, non si sono risparmiati: vecchi e nuovi successi, arrangiamenti northern soul, schegge impazzite di reggae e dub (avete letto bene!), un timido accenno/omaggio agli Oasis. Tutto per uno spettacolo che non ha avuto un attimo di stanca, massiccio, divertente, che ha fatto apprezzare una band che seppure non ha nulla di nuovo da dire su disco, dal vivo sa come si fa un concerto e come si fa divertire il pubblico.

Poche ore prima del concerto abbiamo incontrato Steve Cradock, chitarrista solista della band e storico collaboratore di Paul Weller. Tra una sorsata e l’altra di frullato alla fragola generosamente condito di vodka (il suo), ecco com’è andata.

(I testi dell’intervista sono di Eugenio Battaglini, in collaborazione con Massimo Garofalo. Intervista raccolta da Sara Lilli e Massimo Garofalo. Cinzia D’Ambrosio ha collaborato alla traduzione)

Rock Shock. E’ appena uscito Saturday: cosa vi troveranno i vostri vecchi fans e perché con questo disco potreste conquistarne di nuovi?

Steve Cradock. Penso che Saturday sia il loro miglior album, 14 canzoni assolutamente eclettiche. E’ difficile dire cosa i più giovani potrebbero trovarci. Il nostro è un rock piuttosto classico, influenzato dal fenomeno mod come dal northern soul. Sarebbe bello vedere i giovanissimi ai nostri concerti, ma loro seguono le pop star di oggi, quelle i cui singoli passano in heavy rotation per radio, mentre noi invece … ci affidiamo di più alle emozioni che provochiamo nei nostri concerti, più che a massicce forme di promozione e marketing. Mi rendo conto che oggi Internet, ad esempio, è fondamentale per la promozione di un singolo o di un album, ma noi non abbiamo neanche un blog! Preferiamo stabilire un contatto col pubblico con i nostri concerti, facendo divertire la gente senza tanti fronzoli. Saturday è probabilmente uno dei nostri migliori album di sempre e invito comunque tutti ad ascoltarlo: sono sicuro che non ne rimarranno delusi.

RockShock. Per Saturday avete lavorato con la Cooking Vinyl che è anche l’etichetta di Prodigy e Groove Armada. La musica elettronica e la sua fusione con i generi più classici è, secondo voi, il futuro della musica?

S.C. La musica elettronica non è certo roba di oggi, il sintetizzatore esiste dagli anni ’60 ed è entrato prepotentemente nella musica pop dai ’70. Personalmente non so predirre il futuro, anche perché noi … guardiamo al passato della musica, cercando di tenerne sempre vivo lo spirito e il sound. Ovviamente anche noi usiamo un po’ di tecnologia in studio, qualche tastiera e tecniche di hard disk recording, ma per noi l’elettronica non è mai stato un mezzo di ricerca espressivo, semmai un mezzo per lavorare meglio in studio. Sequencers, campionatori e diavolerie del genere semplicemente non fanno parte del nostro modo di intendere la musica, ma nulla da ridire verso chi le usa.

Rock Shock. Avete mai avuto la tentazione di farvi fare remix dance o di digitalizzare un po’ il vostro sound?

S.C. Assolutamente no. Le nostre uniche tentazioni sono verso derive psichedeliche, che affrontiamo soprattutto dal vivo, a volte anche improvvisando.

Rock Shock. Ocean Colour Scene, 20 anni di carriera, 9 dischi in Studio, 5 Live e 4 raccolte…Se si fa una media di un disco ogni due anni e mezzo, considerando inoltre la promozione e il tour la domanda sorge spontanea: cos’è per voi il tempo libero?

S.C. In effetti di tempo libero personalmente ne ho davvero poco, ma cerco di ritagliarmene il più possibile. Me lo merito! Quando non sono in tour semplicemente faccio il papà, mi dedico ai miei due figli che hanno 6 (anzi quasi 7) e 5 anni. Quindi li vado a prendere a scuola, faccio i compiti con loro e a volte mi costringono anche a giocare alla Playstation.

Rock Shock. Dopo tutto questo tempo, vi divertite ancora a fare concerti?

S.C. Assolutamente sì. I live sono una parte fondamentale non solo del nostro lavoro di musicisti, ma della nostra vita.

RockShock. Durante la vostra carriera avete avuto momenti di grandissima popolarità, sapreste descrivere cosa si prova ad avere un brano al primo posto della UK Chart?

S.C. In effetti nessun nostro singolo è stato nella top ten per più di tre settimane ma … cazzo … è una sensazione bellissima!

RockShock. …e, se non ti dispiace, ci parleresti del momento peggiore della vostra carriera? Qual è stato?

S.C. Il periodo ’92 – ’95 è stato probabilmente quello più fiacco nella nostra carriera e per alcuni di noi la depressione è stata davvero dietro l’angolo. Ma è tutto passato.

RockShock. Che ruolo ha avuto, agli inizi della vostra carriera, Paul Weller e cosa sarebbero stati senza di lui gli Ocean Colour Scene?

S.C. Questa è davvero una domanda impossibile. Personalmente ho suonato con Paul per 17 anni e suonerò presto ancora con lui per alcune date europee (fra cui tre alla Royal Albert Hall di Londra, a maggio, ndr), per cui … non so proprio cosa risponderti. Per me Paul è una specie di fratello maggiore, non potrei immaginare la mia vita e la mia carriera senza di lui.

RockShock. Quello che si percepisce nei vostri dischi, ma soprattutto nei vostri concerti, è una sana voglia di suonare, una specie di divertimento infinito che – purtoppo – non si vede in tantissime giovani band, che troppo spesso fanno concerti come un operaio timbra il cartellino al mattino in fabbrica. Secondo te, chi c’è in giro adesso con un’attitudine simile alla vostra?

S.C. Non tantissime band, purtroppo. Di recente m’è capitato di assistere a un concerto degli Arctic Monkeys e … spaccano di brutto e credo proprio che si divertano, che abbiano il nostro stesso spirito.

Guarda la fotogallery (foto di Massimo Garofalo)

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Massimo Garofalo
Massimo Garofalo

Critico cinematografico, sul finire degli anni '90 sono passato a scrivere di musica su mensili di hi-fi, prima di fondare una webzine (defunta) dedicata al post-rock e all'isolazionismo. Ex caporedattore musica e spettacoli di Caltanet.it (parte web di Messaggero, Mattino e Leggo), ex collaboratore di Leggo, il 4 ottobre 2002 ho presentato al cyberspazio RockShock.
Parola d'ordine: curiosità.
Musica preferita: dal vivo, ben suonata e ad altissimo volume (anche un buon lightshow non guasta)

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