Umberto Palazzo ha attraversato, da protagonista, la storia della musica italiana, se non altro di una certa musica irriverente, sovversiva e pensante, dando vita a quei Massimo Volume diventati ben presto una delle band di culto dell’italico underground.
Finita, male, quell’esperienza (per sapere com’è andata davvero è d’obbligo la lettura di “Tutto Qui – La storia dei Massimo Volume” di Andrea Pomini – ed. Arcana), è rinato dalle proprie ceneri forgiando su se stesso il gruppo del Santo Niente, subito cooptato nella grande famiglia del Consorzio Produttori Indipendenti, la storica etichetta creata negli anni ’90 dalla lungimiranza di Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni e Gianni Maroccolo.
Negli ultimi tempi, pur senza abbandonare l’attività discografica (Il Fiore Dell’Agave, 2005), ha deciso di mettere le sue straordinarie competenze musicali al servizio del popolo della notte nei club di mezza Italia, esibendosi come dj e curando la direzione artistica di diversi circoli locali.
Ha appena dato alle stampe il suo primo, splendido disco solista. Ringraziandolo ancora per la sua disponibilità, ci facciamo raccontare com’è andata.
RockShock. Allora, sei soddisfatto di come sono uscite fuori queste Canzoni Della Notte E Della Controra? Era proprio così che ti suonavano in mente?
Umberto Palazzo. Sono soddisfatto al 100%. E non potrebbe essere altrimenti visto che ho avuto a disposizione tutto il tempo che volevo, non erano coinvolti altri musicisti ed ho lavorato nel mio studio personale.
RS. Un titolo, splendido, che è già una sorta di indirizzo programmatico. Quali sono i punti di contatto tra la notte e la controra? Ed un “vampiro sempre a suo agio in ogni oscurità” come affronta l’ora più calda e luminosa del giorno?
UP. Ovviamente c’è dell’ironia nel definirmi un tale vampiro. Amo davvero la controra ed è sempre stato il momento della giornata in cui la mia fantasia lavora di più. La controra è una notte in pieno giorno, la gente dorme e c’è poco movimento.
RS. Come riportato anche sul disco, a parte una collaborazione… inconsapevole e l’apporto di un paio di voci femminili [le bravissime Sandra Ippoliti e Tying Tiffany, ndr], hai praticamente scritto, suonato, cantato, registrato e miscelato tutto da solo. Come mai questa scelta, diciamo, così autarchica?
UP. Il materiale era troppo delicato e sperimentale per passare da una sala prove; avevo bisogno del controllo assoluto perché la riuscita del disco sta nella giustezza delle proporzioni. Una cosa che avevo chiaramente in testa, ma che era troppo difficile da spiegare ad altri.
RS. Musicalmente, il disco l’ho trovato in un certo senso eretico ed inclassificabile. Da te è stato definito di “pre rock”, una sorta di “what if rock never happened”. Ce lo descrivi in tre aggettivi? A me ha ricordato certi lavori di Pascal Comelade. Tu ce la vedi questa vicinanza?
UP. In comune c’è una scelta di strumenti atipici ma il mio lavoro non parte da lì. Eretico mi piace, ma pagano è più appropriato. Aggiungerei sensuale e onirico.
RS. Hai dichiarato che hai iniziato a realizzarlo mentre lavoravi al nuovo disco del Santo Niente e a quello del Santo Nada [lo spin off strumentale e desertico del santo principale, ndr]. Ecco, tra i due santi protettori, dove possiamo collocarle queste Canzoni Della Notte E Della Controra?
UP. Nelle nicchie di tradizione pagana che sopravvivono un po’ ovunque.
RS. L’ascolto evoca un’atmosfera rarefatta, sospesa, eterea. Se dovessimo accostarlo ad un elemento, per quanto ci riguarda, sarebbe sicuramente l’aria. Tu, invece, l’assoceresti a qualcosa di diverso?
UP. Alla luce, ai miraggi, alla fata morgana, alla luce artificiale e, allo stesso tempo, all’assenza di luce.
RS. I testi, al primo impatto, non sono di facile comprensione. Evocano sogni impigliati, boschi oscuri e paesaggi desolati. Quando li hai scritti? Sono recenti oppure riposavano in qualche cassetto già da un po’ di tempo?
UP. Nel mio caso, i testi vengono sempre dopo la musica. Aloha e La Controra hanno quasi dieci anni. Gli altri sono recenti.
RS. La dimensione onirica pervade trasversalmente tutto l’album, dal Terzetto Nella Nebbia d’apertura fino all’Acchiappasogni finale. Perché questa volontà di perdersi nel mondo dei sogni? La realtà è così orrenda che non si può (o non la vuoi) raccontare?
UP. E’ un’alternativa anche a me stesso. Quando scrivo per il Santo Niente, che è comunque un mezzo per raccontare altre cose, in genere sono iperrealista e chirurgico.
RS. Tra le nove tracce è presente anche una cover di Aloha, già incisa nel 2005 su Il Fiore Dell’Agave dal Santo Niente. Cosa ti ha spinto a riproporre un vecchio brano nel tuo primo disco solista? E perché proprio Aloha?
UP. Non è una cover, la maggior parte di quella registrazione risale al 1999. Al tempo de Il Fiore Dell’Agave non avevo la possibilità di ritoccare i vecchi nastri perché le apparecchiature con cui avevo realizzato la registrazione erano andate fuori produzione. Nel 2005, quindi, ho pubblicato il rough mix, praticamente un demo. Fortunatamente, in seguito, sono riuscito a trovare uno studio che aveva ancora i DA88 ed ho quindi trasferito le tracce separate sul mio computer, terminando così un lavoro che era rimasto praticamente incompiuto, diciamo all’ottanta per cento del suo potenziale. Anche il demo mi piace molto, ma sentivo la necessità di inserire Aloha in questo lavoro perché è parte integrante del suo percorso poetico, mentre nel disco del 2005 era un oggetto estraneo. Bello, ma estraneo. Ovviamente all’epoca non sapevo che avrei fatto questo disco.
RS. Hai scritto che il disco è collocato in una dimensione geografica di un sud puramente immaginario. Quali sono, invece, i luoghi reali che ti hanno ospitato mentre davi vita alle tue suggestioni?
UP. Il luogo chiave è la spiaggia. Non so perché ma le idee migliori mi vengono quando sono in spiaggia. Si tratta, però, sempre di spiagge libere e poco frequentate.
RS. Il disco è uscito da poco ed i primi giudizi mi sembrano tutti più che positivi. Sei soddisfatto di come è stato accolto? Oppure, sinceramente, e senza falsa modestia, ti aspettavi qualcosa di più?
UP. La speranza di un’esposizione sufficiente ad attirare ai concerti un bel po’ di persone c’è sempre, ma non mi faccio illusioni che il merito sia riconosciuto in modo scevro da condizionamenti esterni e da clientele, sulle quali io non posso contare. Che sia già tutto deciso prima è fin troppo evidente…
RS. Dopo lo showcase di presentazione a Pescara, è previsto un tour per farlo ascoltare un po’ in giro per i club d’Italia? Hai già qualche data fissata?
UP. Sì, martedì 15 novembre aprirò per Josh T Pearson al Circolo degli Artisti di Roma. Il 23 sarò al Neon Cafè di Rimini e il 24 al Teatrino degli Illusi a Bologna. Il 25 showcase alla Feltrinelli di Pescara mentre il 26 sarò su Rai Radio 1 ospite di Stereonotte.
RS. Come saranno strutturati i concerti? Adotterai il modello utilizzato nello showcase (chitarra e voce su basi registrate) oppure pensi di farti accompagnare da altri musicisti? Ed in questo caso, hai già in mente che taglio dare allo spettacolo?
UP. Metodo showcase. Sono un crooner senza orchestra, che non mi posso certo permettere.
RS. Un’altra occasione per ascoltarti sarà, sempre a Pescara, il prossimo 20 novembre nell’ambito del IX Festival delle Letterature dell’Adriatico. Puoi anticiparci in cosa consisterà il reading/concerto che terrai in compagnia di Massimo Del Papa?
UP. Ci saranno alcune letture di Massimo con il sottofondo di mie improvvisazioni di chitarra, inframmezzate anche da canzoni vere e proprie.
RS. In chiusura, considerata anche la tua straordinaria e riconosciuta competenza musicale, a parte il tuo lavoro, ci puoi segnalare un’altra uscita italiana ed una straniera che ti hanno colpito ultimamente?
UP. Il disco di Vinicio Capossela è colossale e resterà senz’altro nella storia della musica italiana. Grande anche l’ultimo dei Wilco.
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