Appena uscito col nuovo album Thirteen, Robert Miles è subito salito agli onori tra gli addetti ai lavori per la grande qualità del suo ultimo lavoro.
Dopo qualche hit planetaria al termine degli anni 90, Robert ha cambiato direzione e ora segue la rotta dell’elettronica contaminata di progressive.
Tracciamo con lui le fasi salienti della sua carriera e chiacchieriamo di eventuali sviluppi che potrebbe avere ulteriormente la sua produzione.
ROCK SHOCK – Ciao Robert, come va? Innanzitutto complimenti per il tuo ultimo lavoro Thirteen. Ti va di tracciare con noi i punti salienti della tua carriera? Dopo un paio di Ep, sei salito alla ribalta nel 1995 con la hit planetaria Children, che oltre al primo posto in Italia, raggiunse il 2° nel difficile mercato inglese oltre ad alte posizioni nelle charts di tutto il mondo. Quanto è difficile dopo un tale successo provare a restare sulla cresta dell’onda? Si parla di 14 milioni di copie vendute….
ROBERT MILES – Salve, tutto ok! Grazie. Sinceramente non è che mi sia mai importato di arrivare in cima alle classifiche, è successo, quasi per caso. La musica che suonavo come DJ negli anni ’90 era ben diversa dalle sonorità di Children (piu’ tendente alla techno tedesca); una mattina, rientrando da un after, mi chiusi in studio e dopo poche ore di lavoro, così, quasi per gioco e molto spontaneamente, la melodia del piano del brano era nata. Mai avrei sospettato che un anno dopo il disco avrebbe venduto 5,000,000 di copie in tutto il mondo. Dopo i primi due album usciti con BMG mi resi conto che lo star system non era ciò che cercavo, bensì volevo esplorare nuove sonorità (come d’altronde avevo sempre fatto prima del successo di Children) e decisi di lasciarmi dietro le majors, i managements e tutta la ‘banda di squali’ che mi girava intorno per aprire la mia etichetta indipendente e fare la musica che volevo.
RS – Successivamente ti sei confermato con altre due hit come Fable e One And One ennesimi numeri uno in Italia nel 1996) e con Freedom, dove avevi come special guest la grandissima Kathy Sledge. Cosa è cambiato in te dopo quei successi per far sì che ti spingessi verso uno sviluppo nel tuo suono?
RM – Ecco, ricollegandoci alla domanda precedente…sono proprio questi tre brani che mi hanno fatto decidere di dare un taglio netto con ciò che stavo facendo. Fable era praticamente la copia di Children (per la contentezza dell’etichetta e del management) e One & One mi era stata ‘consigliata’ da Clive Davis, presidente dell’Arista/BMG (al tempo considerato il dio dell’industria musicale). Non ero molto interessato a produrre un brano così pop ma c’era una tale pressione e insistenza dalle persone che avevo intorno che alla fine cedetti e lo produssi. La stessa cosa successe con Freedom. Dopo, questo brano e il secondo album erano ‘pronti’ , ma mi rifiutai di apparire sulla copertina del disco in quanto non lo sentivo un mio lavoro al 100%. Da lì l’idea di usare la mia silhouette come logo che mi accompagnò fino al momento della ‘rottura’ sia con la casa discografica che con il mio management di allora. Ero pronto ad intraprendere la via (tutta in salita) dell’artista indipendente e soddisfatto di essere libero di fare nuovamente la musica che mi piaceva.
RS – Se io avessi pensato ad un’evoluzione nel tuo suono avrei potuto immaginare una virata verso la Detroit di Richie Hawktin o verso il suono di Armin Van Buuren per restare in ambito trance, ma invece è accaduto qualcosa di inaspettato. Nel 2001 è uscito Organik, un album alquanto diverso dai tuoi precedenti. Le sonorità sono meno dance ma riescono ad essere comunque coinvolgenti. Wrong è a mio parere un piccolo capolavoro; in Paths, Nina Miranda degli Smoke City è semplicemente divina…
RM – Subito dopo essermi diviso dall’etichetta con la quale avevo firmato mi trasferii a Ibiza, in una finca sperduta in mezzo al nulla. In effetti, la mia evoluzione del suono sarebbe molto probabilmente stata quella Detroit/Techno se non mi fossi spostato a Londra. Invece, una volta ‘sbarcato’ in Inghilterra, mi si aprii davanti un universo di influenze musicali. La scena underground anglosassone offriva molto e in molteplici sfaccettature. Iniziai ad essere interessato a vari filoni tra i quali quello indo-jazz. Mi spostai ad Ibiza per 6 mesi dove diedi vita al mio primo album da artista indipendente: Organik, un misto di elettronica, rock ed elementi di musica indiana. Tornato a Londra, conobbi Nitin Sawhney e Trilok Gurtu, entrambi due geni nel campo della composizione e nel suonare il proprio strumento (nel caso di Nitin, molteplici strumenti e tutti ad un altissimo livello) e, siccome venivano entrambi dalla comunità indo-jazz, pensai di invitarli a suonare sull’album insieme a Bill Laswell e Paul Falloon che già avevo contattato per suonare le parti di basso .
RS – Più avanti ecco arrivare l’album remix di Organik, con contributi importanti come quelli di Da Lata e Riton fra i tanti e soprattutto, nel 2004, il tuo lavoro con Trilok Gurtu, dove i ritmi si sono fatti più evoluti strizzando l’occhio anche a sonorità drum’n’bass ma soprattutto all’ambient con influenze world.
RM – Organik remixes era nato dal desiderio di avere delle ‘rivisitazioni’ dei brani contenuti su Organik da parte di band o artisti che erano rispettati dal team che costituiva la mia nuova etichetta, la S:Alt Records (suitably:alternative). La metà del team era, come me, più propensa a dei remix tendenti all’elettronica più sperimentale o comunque più dark e mentale, come i Future Sound of London, 2nd Gen, Chamber, mentre l’altra optò per dei remix con sonorità più step garage, house o bossa nova come Da Lata , Riton, AlexKid e KV5. Alla fine facemmo uscire ben 14 brani e l’album ricevette ottime critiche e proprio il brano remixato dai FSOL, Paths, venne usato come colonna sonora sulla pubblicità della Jaguar in Inghilterra. Miles Gurtu invece, lo considero uno dei miglior album che ho fatto finora (a livello di composizione). Prettamente nu-jazz con sfumature rock alternativo ed elettroniche. Il modo di lavorare su questo disco è stato molto diverso dal modo in cui lavoro solitamente: Trilok non poteva restare per più di tre giorni a Londra, perciò era impossibile lavorare ad ogni traccia insieme. Di conseguenza gli feci suonare le percussioni, totalmente libero di improvvisare, e da quelle registrazioni ho poi ‘scolpito’ ciò che sarebbe diventata la base ritmica dei vari brani. Da lì ho iniziato a comporre le parti dei vari strumenti e dato a tutti i musicisti lo spazio per improvvisare, oltre che a suonare le parti che avevo composto. Nitin Sawhney alla chitarra, Trilok Gurtu alle percussioni, John Thorne (Lamb) al contrabbasso e il sottoscritto al piano elettrico e vari synths, (insieme con Mike Patto): una band di quattro persone che si è divertita moltissimo mentre registrava l’album. Penso che la musica rispecchi perfettamente il mood che si creò in studio in quel momento. Un disco che mi ha dato molte soddisfazioni; una fra le tante: riuscire a presentarlo dal vivo/live allo Spitz di Londra; un’esperienza unica….
RS – Ora siamo nel 2011, è uscito Thirteen, il tuo nuovo lavoro, dove fra i special guest troviamo alcuni mostri sacri: Robert Fripp dei King Crimson non ha certo bisogno di presentazioni, così come Dave Okumu e John Thorne.
RM – Un altro capriccio che mi sono tolto è quello di fare un’album jazz elettronico con una forte presenza di elementi rock, sia progressive che alternativo. Influenza presa da Londra e Berlino, dove ho passato molto tempo negli ultimi anni. Fripp, lo ascoltavo quando avevo 18 anni e mi aveva sempre affascinato per il suo modo di creare musica e suonare la chitarra elettrica. John Thorne, un caro amico ormai, con il quale adoro passare giornate in studio a Londra e per la sua spontaneità nel suonare il contrabasso. Dave Okumu è una nuova scoperta (almeno per me); ci siamo conosciuti per caso (quanti ‘per caso’ in questa vita!) tramite un amico, una persona speciale in tutti i sensi e capace di fare suonare il suo strumento come pochi. Parti di Th1rt3en saranno incluse nella colonna sonora che sto scrivendo per un film documentario della TimeLife di NYC, un progetto audio-visual che sarà presentato verso la fine di quest’anno. Un trip.
RS – Nel tuo ultimo lavoro ho apprezzato parecchio i brani intrisi di progressive, ma soprattutto quelli space-ambient che mi ricordano parecchio due band come The Orb e Orbital; come pensi si potrebbe evolvere ulteriormente il tuo suono, dopo questa incursione nel jazz e nel progressivo?
RM – Buona domanda….me lo chiedo spesso pure io da quando ho finito Th1rt3en. Parliamone fra un annetto…ok?
RS – Presenterai questo tuo ultimo lavoro in un live e se lo farai, cosa ci dobbiamo aspettare dal concerto?
RM – Purtroppo no, questo progetto non verrà presentato live. Però suonerò come DJ a vari festivals ed eventi in giro per il mondo presentando i remix club che abbiamo fatto per l’album. Dopo alcuni anni di assenza dai locali notturni, ho ripreso a suonare come DJ e mi sto divertendo di nuovo, perciò sarà più facile che mi vediate alla consolle di un club che su un palco.
RS – Siamo in un periodo dove la gente acquista meno, dove sui media c’è sempre meno spazio per la musica di qualità, quanto pensi sia importante il contatto emozionale con i fans durante una dimensione live per confermare quanto di buono sta facendo un’artista?
RM – Si salvi chi può! Viviamo in un periodo dove i ‘valori’ tradizionali che hanno caratterizzato il mondo occidentale negli ultimi 50 anni stanno cambiando drasticamente. Il ‘prodotto’ (qualsiasi) viene consumato in maniera superficiale e rapidissima; la società gradualmente si sta ‘chiudendo in casa’ passando ore su facebook a creare il proprio, impenetrabile, mondo virtuale ed evitando il rapporto diretto con le persone, il socializzare; la musica viene ascoltata in formato mp3 (ma come? La tecnologia non dovrebbe evolversi anno dopo anno? Perche’ siamo passati dal CD all’mp3 che suona malissimo e tutto compresso rispetto al suo predecessore!!?); i film vengono ridotti a degli mp4 files che, di nuovo, per come sono stati concepiti rovinano la colorazione, i filtri, il suono, l’essenza del filmato e chi più ne ha più ne metta. Il motto della società di oggi: tutto veloce, tutto subito (e possibilmente senza dover muovermi/sbattermi piu’ di tanto). Speriamo che sia un momento di transizione e che le future generazioni siano in grado di capire gli errori fatti da noi e da quelli prima di noi. Tornando alla domanda, non penso che un artista debba per forza presentare il suo lavoro in una dimensione live; dipende dalla persona, dal carattere. Personalmente non mi piace ‘apparire’ molto, preferisco starmene in studio a creare momenti musicali per poi diffonderli, a chi mi segue, attraverso i vari canali multimediali. Il contatto diretto con i miei ‘fans’ avviene ormai da anni attraverso il mio sito www.robert-miles.com e le molteplici e-mails che ricevo quotidianamente.
RS – Bene Robert, abbiamo finito; complimenti e grazie della tua disponibilità . Appuntamento a presto per parlare delle tue nuove dimensioni musicali.
RM – Grazie a voi e arrivederci.
Gli ultimi articoli di Fabio Busi
- Linda Collins: recensione di Choices - November 22nd, 2024
- Heat Fandango: recensione di Onde - November 18th, 2024
- swan·seas: recensione di Songs In The Key Of Blue - June 26th, 2024
- Intervista ai Coach Party - June 15th, 2024
- Tanks And Tears: recensione di Timewave - May 27th, 2024