Si intitola Mentre le ombre si allungano il nuovo spettacolo che segna il ritorno sui palchi dei La Crus. Uno spettacolo che porteranno in giro per cinque date imperdibili per chi, da tanti anni, sognava il ritorno sulle scene di questo gruppo fondamentale degli anni Novanta. Abbiamo contattato Mauro Ermanno Giovanardi e con lui abbiamo trascorso qualche ora per parlare di loro, di questa (non)reunion e di musica. Un incontro direi magico, perché si è svolto a poche centinaia di metri dal luogo dove è nata la scena musicale milanese.
RockShock: Ciao Joe.
Mauro Ermanno Giovanardi: Buongiorno, ciao.
RS: Grazie per aver accettato questa intervista. Per cominciare volevo parlare con te, partendo da quello che era la musica negli anni novanta e in particolare di quella che era la scena milanese.
MEG: Certe scene musicali hanno la possibilità di crescere e di fiorire perché esistono dei luoghi che gli danno questa possibilità. Delle volte sono dei club, delle volte sono dei locali e la scena milanese si è potuta sviluppare perché esisteva un posto come il Jungle Sound Station, dove tutti in qualche modo, ci siamo passati. Abbiamo condiviso momenti, esperienze, scambi di pareri, opinioni, insomma siamo cresciuti dentro il Jungle a cui la scena milanese deve tantissimo. Ricordo, ad esempio, che il primo disco dei La Crus è stato fatto di fianco ai cessi del Jungle dove c’era una salettina piccolissima, dove Cesare (Malfatti nda) aveva il primo studio MIDI e dove abbiamo fatto tutto l’album con un campionatore, un programma Qbase e un Tascam quattro tracce. Ricordo che c’era Klaus Bonoldi, che adesso lavora alle edizioni Universal, ma che al tempo stava dietro al bancone e durante le ore in cui i gruppi suonavano, veniva dentro quello studiolo e stava con noi. E’ stata la persona che insieme a me e Cesare ha visto nascere i La Crus, che nascono da un’idea molto semplice, cioè quella di mutare la metodologia dell’hip hop, solo che invece di rappare, io cercavo dei cantati. Insomma quello di unire due mondi che sulla carta erano distantissimi, perché il nostro background parte dai Joy Division e arriva ai Massive Attack con il recupero della canzone d’autore. Sai, c’era la madre della mia fidanzata dell’epoca che mi fece sentire un pezzo di Tenco perché convinta che io avessi una voce triste come lui. Fu un colpo di fulmine. Prendi un pezzo come Angela, se ci pensi, non è tanto diverso da quello che fa Nick Cave o Leonard Cohen. Una delle cose che mi ha reso più fiero era che centinaia di ragazzi dopo i concerti venivano a farsi firmare i CD o le cassette e mi dicevano grazie perché tramite le nostre versioni hanno comprato gli album originali di Tenco o di Ciampi.
RS: Ma perché quella scena, ad un certo punto è sparita?
MEG: Perché spesso le cose belle finiscono.
RS: E la musica come la vedi adesso?
MEG: Un po’ meno sacrale. Un po’ più usa e getta. I talent sono una sacca di sangue che serve alla casa discografica. Feci un incontro con quelli di Fremantle (casa di produzione di Xfactor, nda) qualche mese prima di Manuel Agnelli e prima di allora io ne avevo sempre parlato male, non me la sentivo tanto di fare il giudice, però forse se me lo chiedessero ora ci penserei un po’ di più perché puoi considerare l’idea di combattere o meglio fare una rivoluzione dall’interno, però non so mai quanto sia possibile, quanto gli autori te lo permettano. Conosco un avvocato che aveva come clienti cinque ragazzi che venivano da Amici e mi raccontava che questi ragazzi avevano preso una “tranvata” in faccia da quell’esperienza e che erano tutti più o meno in analisi. Immagina di essere un ragazzo della provincia di Ragusa, piuttosto che di Salerno, un giorno finisci in un talent e trascorri sei mesi in televisione, all’inizio tutto sembra bello perché ti riconoscono, ti chiedono l’autografo, fai dei selfie, non paghi ai ristoranti e quando poi quando questo finisce, vai in depressione. Tieni presente anche che la maggior parte di questi ragazzi sono interpreti. Ti faccio un esempio: immagina di essere un discografico a cui portano sulla scrivania un disco di un ragazzino che è stato in televisione fino alla settimana prima e un disco di un cantautore anche bravo, però il discografico sa che questo cantautore per portarlo alla notorietà che ha il ragazzino del talent ci vogliono cinque anni e quindi per praticità preferirà produrre quello del talent che è già conosciuto, che ha già fatto autopromozione e siccome questi ragazzi sono per la maggior parte interpreti chiederà al cantautore di scrivere i pezzi per quell’altro. Purtroppo è evidente che la musica ai talent non conta un cazzo. Conta vendere pubblicità, vendere la trasmissione, è un prodotto. E’ quella roba lì spacciata per qualcosa che nutre l’anima e venduta come una saponetta da bidet. Di contro chi fa il giudice di questi talent, oltre al grano che ti porti a casa, ha una visibilità grossa per cui è diventato un posto ambitissimo ed è per questo che se sei anni fa sono stato un po’ scettico adesso sarei un po’ più cinico.
RS: Torniamo un attimo ai La Crus. Avete inciso otto album, ma tra tutti, considerando anche il tour che state per affrontare, mi è tornato in mente Crocevia, un disco di cover, di cui uscì anche un romanzo omonimo e in allegato un CD ROM con all’interno delle immagini, dei reading e ovviamente anche della musica. Una cosa molto tecnologica per l’epoca. Che rapporto avete con la multimedialità?
MEG: Lo spettacolo che andremo a fare è esattamente quella roba là, nel senso che questa non è una vera reunion, ma è recuperare uno spettacolo che ai tempi poteva apparire avanguardista. Il regista Francesco Frongia, che è un fan dei La Crus, usa per i video la stessa tecnica che usavamo noi per fare i nostri album. Noi prendevamo delle porzioni, delle campionature e lui, di contro, prendeva delle porzioni di video, campionando immagini, li looppava, ad esempio prendeva delle immagini del cinema di Man Ray degli anni trenta, li montava come se fossero dei video poetici, ci metteva dentro versi delle canzoni e citazioni di altri autori. Per quanto riguarda noi, Cesare sarà a sinistra del palco con tutti i vinili con le basi e una chitarra classica, al centro ci sarà lo schermo per i video, ed io a destra con la mia poltrona di casa, un comodino, una luce, una situazione molto intima. E il teatro era la location ideale. Uno spettacolo dove ci sono le canzoni dei La Crus, ci sono i video di Frongia, ci sono le poesie di Salinas, Pasolini, Pagliarani e Bufalino che leggerò io.
RS: Farete ben tre date a Milano, il due, il tre e il quattro luglio. E’ stata una scelta quella di fare più date o pensi che sarebbe stato meglio un posto più grande e fare un’unica data?
MEG: Più bello fare tre date. Perché è uno spettacolo che necessita intimità. Inizialmente questa idea mi è venuta durante il festival degli anni novanta (La mia generazione Festival, nda) di cui sono il direttore artistico, durante una serata chiamata Quasi mezzanotte, un film, dove c’è. L’idea di far convivere musica e immagini, e l’assessore della cultura venne da me e mi disse che sarebbe stato bello fare una cosa del genere come La Crus ed io risposi che riformarli non sarebbe stato possibile, ma riprendere questo tipo di spettacolo e farlo come La Crus era già un’idea più possibile.
RS: Ma perché i La Crus si sono sciolti?
MEG: Perché i grandi amori non meritano mediocrità. Dopo diciassette anni è venuto a mancare quel fuoco che ci aveva fatto nascere e crescere, poi le cose e le persone cambiano.
RS: In questo spettacolo, che non è una reunion, sarai “costretto” a cantare anche brani dei primi due album. Hai rilasciato una dichiarazione dicendo che non hai un buon rapporto con i primi lavori soprattutto per la tua voce che non ti piace.
MEG: E’ la verità. Vedi il passaggio dall’inglese all’italiano è stato faticosissimo. Quella stagione lì è stata davvero importante perché noi ci siamo resi conto che cantando in inglese, in realtà si stava scimmiottando tutto quello arrivava dall’Inghilterra e dall’America. Però ci rendevamo conto che era importante imparare a scrivere e cantare in italiano che voleva dire farci capire, farci comprendere, per cui abbiamo cercato di mettere il nostro background a servizio di canzoni cantate in italiano. C’era una generazione di ragazzi della nostra età che sentivano robe inglesi o americane, erano orfani di gruppi che cantavano quella roba lì in italiano. Una persona come Stefano Senardi ha avuto l’intuizione di aprire un’etichetta, che si chiamava Black Out, e che aveva messo sotto contratto gruppi come i Ritmo Tribale, Casino Royale, CSI, gruppi che musicalmente non appartenevano alla cultura musicale italiana però cantavano in italiano. Tutto questo per dirti che i primi due dischi non mi piacciono perché risentono tanto di quel passaggio dall’inglese all’italiano, risentono molto degli anni Ottanta, dove i gruppi erano molto monocordi. Ad esempio se prendi una canzone come Il vino, oggi la canto con più naturalezza rispetto al momento in cui la registrai, perché col tempo ho imparato a togliere: una volta Ivano Fossati mi fece i complimenti per come avevo cantato La Costruzione di un Amore, perché a un testo così spesso piuttosto che dargli enfasi io, glielo avevo tolta per non rischiare il grottesco e questa cosa io la sento a tratti nei primi dischi dei La Crus.
RS: Infatti, tu dichiari spesso che nel 1999 con Dietro la Curva del cuore, i La Crus realizzano il loro disco della maturità e alla luce di quello che mi hai detto finora, pensandoci, canti in maniera completamente diversa.
MEG: Diciamo che Dietro la curva del cuore è il primo disco che riesco a sentire.
RS: Quell’anno secondo me fu molto particolare per la scena indipendente, ricordo che un giorno alle sei del mattino accesi la televisione su VideoMusic e vidi il video del singolo Un giorno in più e rimasi folgorato, il pomeriggio dello stesso giorno sono andato a comprare il CD e subito notai la differenza che c’era con i due album precedenti.
MEG: I primi cinque dischi dei La Crus son stati mixati da Paolo Mauri e ricordo che quando gli facemmo sentire Dietro la curva del cuore mi disse che era fin troppo bello per essere il disco della maturità dato che era solo il terzo che facevamo. Un disco dove ci sono almeno sei/sette singoli, un disco che mi ha visto cambiare il modo di cantare in meglio sicuramente, un disco con duetti importanti con Cristina Donà e Carmen Consoli, insomma un disco importantissimo.
Grazie Joe per aver risposto alle nostre domande. L’appuntamento è il 2 Luglio al Teatro Elfo Puccini per la prima serata di questa non reunion dei La Crus.
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