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Intervista a Lukasz Mrozinski (Merçe Vivo)

Abbiamo intervistato il leader dei Merçe Vivo a pochi giorni dal tour li porterà in giro per l'Italia a presentare Lasortedelcanecheleccalalama

Merçe VivoPaesaggi notturni, un sassofono sullo sfondo, atmosfere autunnali. E poi squarci di chitarra, come a voler far tornare alla realtà l’ascoltatore che si era cullato sotto il chiarore della luna. Tutto questo è Lasortedelcanecheleccalalama, l’album della maturità del gruppo torinese Merçe Vivo. Un disco intenso e suggestivo come pochi realizzati negli ultimi anni in Italia, complice forse l’atmosfera parigina, luogo nel quale hanno registrato in soli 4 giorni l’album. Abbiamo incontrato Lukasz Mrozinski, voce e chitarra del gruppo, che ci ha svelato i retroscena del loro terzo lavoro.

 

RockShock. Iniziamo dal nome: Merçe Vivo… come lo avete scelto?

Lukasz Mrozinski. Beh il nome è nato dopo numerosi tentativi. La paternità comunque è di Cechov, dal titolo di una sua novella: merce viva. La scelta però è stata fatta sul suono delle parole più che sulla trama. La storpiatura data dalla ç è l’elemento chiave del nome.

RS. Avete registrato il vostro ultimo album a Parigi… come mai questa scelta?

LM. Dall’incontro con il gruppo francese Frank Williams And The Ghost Dance, gestori dello studio di registrazione La Fugitive Paris. Cercavamo uno studio di registrazione lontano dalla nostra quotidianità, dove concentrarci sul nostro lavoro. Ma anche per cercare un suono nuovo, diverso dagli standard degli studi e delle orecchie italiani. E’ stata una collaborazione nata dall’incontro sulla scena e da una profonda ammirazione verso i rispettivi progetti. Giunti a Parigi fu naturale dunque coinvolgere due dei membri del gruppo francese alle registrazioni dei brani.

RS. Infatti  il suono del disco si discosta parecchio da quello che c’è in giro oggi, almeno parlando della scena italiana. Specialmente l’uso del sax come strumento principale delle vostre composizioni è raro. Il primo gruppo che mi viene subito in mente (e forse l’unico) il cui tratto caratteristico è il sound di un sassofono sono i Morphine. Quanto c’è di loro nella vostra musica?

LM. Sicuramente i Morphine hanno fatto e fanno parte dei nostri ascolti, come anche i Lounge Lizards, Coltrane e tanti altri. Non riusciamo a citare le fonti precise d’ispirazione, perché spesso la musica che ci influenza è diversa per ognuno e proviene da generi diversi.

RS. In effetti la vostra è una musica difficilmente catalogabile: nell’album c’è di tutto: dal post-rock allo slow-core, dal jazz al folk, dal pop addirittura al noise-rock. Merito della diversa estrazione musicale dei componenti del gruppo?

LM. Sicuramente, ma anche dall’apertura mentale all’ascolto di generi musicali diversi. Alcuni di noi hanno anche progetti paralleli completamente diversi da Merçe Vivo. Ad esempio, io ed Eros (sassofonista e chitarrista dei Merçe Vivo, ndr) abbiamo creato un progetto dal nome aSzEsO (www.facebook.com/aszeso) con il quale abbiamo visitato i palchi newyorkesi, oltre ovviamente ai nostri due progetti solisti. Il nostro batterista suona in un gruppo cover The Smiths, e il bassista ha suonato per oltre 10 anni musica punk-hardcore! Poi capita anche di sonorizzare spettacoli teatrali con chitarra, sax ed elettronica. Le collaborazioni e le influenze esterne sono elementi fondamentali del progetto Merçe Vivo.

RS. In un vostro brano, intitolato Lapis, usate addirittura il kamanjah, che è uno strumento persiano…

LM. Uno strumento che in realtà abbiamo trovato all’interno dello studio parigino che ha ospitato le registrazioni. Non era previsto il suo utilizzo precedentemente e in verità non sapevamo neanche della sua esistenza. Capita spesso che da un giorno all’altro uno di noi si presenti in studio con oggetti/strumenti nuovi e strani pronti ad essere sperimentati, anche solo per gioco. Artefici di questi esperimenti sono principalmente Eros e Alessandro, veri e propri ricercatori del suono.

RS. Come avviene il processo compositivo? Siete 4 personalità diverse all’interno del gruppo… come nasce un vostro pezzo?

LM. I brani nascono da chitarra e voce, spesso solamente dal testo. Poi in studio lavoriamo sull’arrangiamento, dove ognuno porta la propria esperienza. Discutiamo molto nelle fasi di definizione, quando il brano ci convince ma non suona esattamente come vorremmo.

RS. Infatti ti avrei chiesto se componevate prima il testo o prima la musica…

LM. Non c’è un ordine per cosa nasce prima. A volte nascono insieme.

RS. Nell’album c’è una canzone d’amore molto intensa e toccante: Helika. Come è nata? Quale è stata la fonte di ispirazione?

LM. Helika, o meglio Martha Helika, è mia figlia e quel brano nasce per lei. I retroscena della storia rimangono un segreto. Si tratta dell’unico brano che io abbia scritto completamente autobiografico e senza alcuna citazione esterna. La registrazione è stata completamente improvvisata dal vivo e Daniel Benoit ha suonato il pianoforte senza aver mai sentito prima la melodia.

RS. Cosa ascolti in questo periodo? C’è qualche artista in particolare che segui?

LM. In questo periodo ascolto i Timber Timbre, Marco Parente, Davide Tosches, Dirty Beaches, Josh T.Pearson. Gli altri so che si scambiano dischi di bossanova, jazz e i Wilco.

RS. Josh T Pearson l’ho trovato un pò noioso

LM. Pearson l’ho scoperto in un intervista dove parla di se e mi ha conquistato. E’ un atmosfera. Non amo capire i testi dei brani in inglese ma l’atmosfera che suscita mi lascia sbalordito.

RS. L’atmosfera per me conta parecchio. Più che altro adoro le composizioni che evocano il tormento dell’anima. Molti dei vostri brani come ad esempio Oceanomare mi danno questa impressione…

LM. Credo che sia il nostro obiettivo principale sia quello di ricreare un’atmosfera che tiri fuori qualcosa da dentro. E’ vero, i nostri pezzi sono anche tormentati, ma hanno uno spirito di consapevolezza: è un po’ come la presa di coscienza dopo la quale arriva l’azione di svolta.

RS. Come è il vostro approccio live? vi trovate a vostro agio sul palco o preferite la tranquillità dello studio?

LM. Il live è un esperienza veloce. Lo studio richiede pazienza e attenzioni. Dal vivo l’improvvisazione si gode sul momento: ogni particolare è sempre diverso. In studio siamo molto vicini allo spirito live ma cerchiamo di curare molto l’atmosfera che incidendo è facile perdere: personalmente amo lo studio, gli altri danno il meglio dal vivo.

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