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Intervista a Kim Bingham

Kim Bingham è una cantautrice canadese di talento; rapisce per la sua follia creativa, in buona compagnia di un'anima rock mescolata a pop e punk.

Ho avuto l’occasione di intervistare Kim Bingham, cantautrice canadese di talento che ho scoperto da poco, ma che mi ha rapito per la follia creativa della sua anima rock mescolata a pop e punk. Kim è in scena dalla metà degli anni 90, ha suonato come chitarrista e corista per David Usher e Nelly Furtado e ha vinto un premio per la miglior colonna sonora di una serie TV nel suo Paese d’origine. Dopo la sua carriera solista è venuta spesso in Italia a suonare e si racconta in questa intervista.

 

Ciao Kim, hai iniziato la tua carriera di musicista con Me Mom and Morgentaler, band canadese ad indirizzo ska, ma nei tuoi successivi lavori hai mescolato anche altri stili nei tuoi dischi. Quali sono state le tue influenze musicali?

Sono cresciuta ascoltando la musica soul e R&B che ascoltavano i miei genitori, un sacco di dischi delle etichette Motown e Stax, e qualcosa dei Beatles presi dalla collezione di mia mamma. Quando ho iniziato a sviluppare un mio gusto musicale personale, mi sono inaspettatamente sentita attratta dalla musica new wave e punk rock, roba veramente individualista, eclettica e controcorrente. Ero sorpresa tanto quanto i miei genitori che questa fosse la musica verso la quale sentivo una affinità naturale e molte di queste band avevano una cantante donna. Quindi molto pop: Blondie, The Pretenders, insieme a performer straordinarie come Siouxsie Sioux, Nina Hagen, Lena Lovich, Joan Jett, The Sugarcubes (la prima band di Bjork), Les Rita Mitsouko e The Divinyls.

 

 

Hai poi iniziato subito la tua carriera solista come Mudgirl con brani dominati da una chitarra pop rock, canzoni leggere, ironiche e seducenti. Cosa ti ricordi dei tuoi inizi come autrice di canzoni?

Da quanto ricordo, fin da piccola, ho sempre tenuto un diario illustrato pieno di miei pensieri e storie. Quando ho imbracciato la mia prima chitarra, a 16 anni, le canzoni hanno cominciato ad arrivarmi come una naturale estensione del mio diario. L’esperienza più incredibile che faccio da autrice, tuttora il mio ruolo preferito nella vita, è la chiarezza che ritrovo nei miei testi, che arrivano all’improvviso, e che spiegano il mio punto di vista con tanta semplicità su una data  situazione complessa che non sarei riuscita a processare in nessun altro modo.

 

Ti sei poi indirizzata a creare un collettivo di musicisti sotto il tuo nome, The Kim Band, per avvicinarti a quello che fai oggi. Che differenze ci sono tra una band di musicisti stabili ed un porto di mare con musicisti intercambiabili?

Quando avevo una band fissa di musicisti, la musica tendeva a sviluppare il suo sound, poiché i musicisti erano abituati a suonare il repertorio insieme nelle sessioni live in tour e in studio. Potevamo contare gli uni sugli altri sonoramente, c’è questa comfort zone che raggiungi. Ora sono alcuni anni che lavoro con team e turnisti diversi nelle mie basi preferite a Los Angeles, Parigi e a Montreal. In Italia ho una band che mi accompagna in Veneto. Ho imparato a lavorare in questo modo dal periodo in cui sono stata chitarrista turnista per altri grandi artisti, dove il livello di professionalità è elevato, sono tutti musicisti esperti e si impara molto velocemente il nuovo materiale. Così entri in studio il primo giorno che conosci già tutte le tue parti e si arriva subito al punto. Direi che, da band leader e produttrice, la differenza principale fra i due modi di lavorare (con una band stabile o con turnisti) è che nel secondo caso hai necessariamente bisogno di sapere quale deve essere il tipo di esperienza che ti aspetti dalla musica in modo da poter guidare i musicisti verso quella visione sonora, lasciando la porta aperta a idee spontanee. È un modo abbastanza rapido per creare musica, posto che tu sappia esattamente cosa fare ed abbia piena fiducia in te stesso, nelle tue capacità e nel processo di produzione.

 

Ho letto che nella tua carriera di chitarrista e corista hai lavorato, oltre a David Usher, anche con Nelly Furtado. Cosa hai ricavato dalla tua esperienza con lei passando dalla musica indipendente a quella mainstream?

Devo dire che mi piace molto lavorare come session player. Non è solo un tuffo nell’universo musicale di un altro artista, ma nell’organizzazione e nella squadra che ha costruito attorno a sé. Quello che ho imparato dalla mia esperienza di lavoro con un’artista mainstream come Nelly è che si tratta una macchina molto più grande rispetto al mondo indie, e richiede una combinazione di duro lavoro, strategia, fortuna e molta spinta a dare il meglio di sé, creativamente e fisicamente. La musica viene prima di tutto, ma anche il ritmo della vita quotidiana quando si fa parte della band di pop star internazionali è intenso. Ci vuole molta resistenza per rimanere al top e rimanere concentrati a quel livello. Ammiro l’etica del lavoro che ho osservato con lei, ed è davvero uno sforzo di squadra, con il lato imprenditoriale e creativo interconnessi fra loro.

 

Nel 2007 hai ricevuto il Premio per la Miglior Colonna Sonora che hai scritto per una serie Tv canadese, Les Invincibles. Com’è da musicisti approcciarsi anche alla televisione?

La musica per TV e film è cambiata molto. Ci sono sempre più compositori rock ed elettronici che lavorano per la TV, laddove fino a poco tempo fa ci si sarebbe aspettati una partitura orchestrale più classica. Il creatore della serie TV mi ha chiesto di essere la compositrice della colonna sonora, è stata un’offerta inaspettata e molto lusinghiera. Non avevo avuto altre occasioni di comporre per film o per la TV prima di allora. Sapevo che non volevo perdere l’occasione e che avrei dovuto imparare tutto su questo nuovo lavoro. Così ho iniziato con gli strumenti e i tricks per la registrazione con cui scrivevo abitualmente le mie canzoni e li ho applicati alla scrittura per la serie. Penso che sia stato questo a rendere la colonna sonora più originale: non stavo cercando di copiare nessun altro compositore, suonavo come me stessa, scrivevo musica per immagini.

Nei tuoi dischi si avverte una libertà compositiva, come pensi sia maturata la tua scrittura rispetto ai tuoi lavori precedenti?

Le mie canzoni sono il riflesso di momenti della mia vita, e ci sono canzoni più vecchie a cui posso ancora fare immediatamente riferimento, mentre ce ne sono altre che mi riportano al momento esatto in cui le stavo scrivendo e poi penso a quanto sono cambiata o a quanto la mia vita è cambiata da quel momento. Alcuni dei temi delle mie canzoni sono rimasti coerenti: imparare, essere resilienti, aperti all’avventura, al divertimento, all’amore. Continuo a studiare musica da sola e con dei maestri: è come la matematica o la scienza, è una materia senza fondo. Se hai una vera passione per lo scrivere e suonare musica come me, non vuoi mai smettere di imparare, evolvere. Tutto ciò che imparo dai diversi generi musicali che studio – jazz, rap, country, bluegrass, classica – ha influenzato la mia scrittura. Ho fiducia nella mia capacità di autrice. Ora mi sto impegnando per sorprendere me stessa.

 

Con la pubblicazione di Up!, il tuo album solista del 2012, eri già venuta a suonare in Italia. Come hai trovato il nostro Paese dal punto di vista dell’organizzazione di concerti e della loro promozione?

Quando suono in Italia, il pubblico è incredibilmente caloroso e ricettivo. Mi sento davvero a casa. Penso che la scena live in Italia non sia tanto quella di suonare nelle metropoli, ma piuttosto di suonare nei piccoli locali nelle città grandi e piccole cambiando il modo in cui promuovi: il passaparola è uno dei mezzi più efficaci, insieme ai social media. Per quanto riguarda l’organizzazione di spettacoli, in Italia bisogna sapersi adattare: sono pronta a fare un set acustico da solista in un bar, così come posso fare un duo o un trio con uno o due musicisti che mi accompagnano, oppure posso fare un spettacolo con la band al completo, se il club può permetterselo. Alla fine si tratta di offrire prestazioni solide, qualunque sia la situazione.

 

In Italia la musica rock indipendente, che ha avuto una grande visibilità negli anni 90, oggi non ha molte prospettive. In Canada invece l’industria musicale mostra più attenzione verso di voi?

Certo, ricevo costante attenzione in Canada perché è lì che sono le mie radici, è lì che ho iniziato e ho una storia che continua. La musica indipendente funziona come per le major in un unico grande modo: il mondo è il tuo pubblico a causa di Internet. La geografia non ha importanza per quanto riguarda le persone che hanno accesso alla tua musica. E per quanto riguarda la visibilità, è meglio avere un piccolo nucleo di fan accaniti che ti fanno andare avanti, ovunque si trovino, rispetto a una grande piattaforma supportata da scarso entusiasmo.

Hai da poco pubblicato un singolo divertente ed elettrico, “Beppe Green”. Come ti è venuto in mente di cantare una parte di questa canzone in italiano?

“Beppe Green” è ispirato a molti bei momenti che ho trascorso in Italia, perciò ho voluto naturalmente attenermi all’autenticità di quei ricordi ed esprimerne alcuni in italiano. Il mio italiano è piuttosto buono, in realtà. Posso sostenere una conversazione. Per quanto riguarda il canto per la prima volta in italiano, sapevo che avrei avuto una possibilità, ma per me non rappresenta una novità!

 

Ho avuto la segnalazione del tuo lavoro artistico da Erika Grapes, che sta promuovendo la tua musica qui in Italia. I tuoi brani briosi e taglienti mi hanno colpito e credo sia ora di pubblicare un nuovo album. Quali sono i tuoi progetti futuri? 

Mi ritrovo in un ciclo di scrittura e produzione di nuove canzoni ogni pochi mesi, quindi presto ce ne saranno altre. Finora ho pubblicato cinque album indipendenti e ora mi piace il processo di pubblicazione dei singoli perché mantiene le cose veloci e fresche. Vedremo, potrei pubblicare alcune canzoni come EP, o concentrarmi solo sulla release di una traccia alla volta. Ho raggiunto un punto di massima flessibilità nella mia carriera e lo adoro.

Sito web: www.kimbingham.com

 

 

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