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Insolito Clan: Non Vi Stimo Più

"Tutto già esiste in natura, così come esistono i cantautori, quindi esiste un Insolito Clan”. In Non Vi Stimo Più lo schema metrico strofa-ponte-ritornello viene contaminato da un’anarchia di fondo

Insolito Clan

Non Vi Stimo Più

(Cd, Altipiani Produzioni)

canzone d’autore

______________

Un ossimoro vivente. Anzi sonante. Fiorisce alle ore 23 e un quarto di un giovedì di un anno non meglio identificato, si vocifera il 2006.

In realtà sin da tempo militante in ambito musicale perché “tutto già esiste in natura, così come esistono i cantautori, quindi esiste un Insolito Clan”. E tal fenomeno s’introduce in quel teatro d’autore italiano già ricco ma non a livelli così surreal-contestatario.

Ritmo scanzonato, versi irriverenti, beffardi, irrispettosi di un certo manierismo tradizionale: lo schema metrico strofa-ponte-ritornello viene contaminato da un’anarchia di fondo.

È un sovversivismo in contrasto – ovviamente – coi generi convenzionali; volteggiando qua e là dà vita a una forma-canzone estremamente  particolare: pur attingendo dal cantautorato vecchio stampo (Rino Gaetano, De Andrè, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci) rivela un sound ‘noise’ (Jesus Lizard, Uzeda, One Dimensional Man) e latineggiante.

Dunque qualcosa che fa saltare i gangheri alla tradizione ma col suo tacito consenso.

Il risultato non può non dilettare un pubblico di nicchia, su tutti.

Tutti.

Già.

Perché l’ensemble dell’Insolito Clan racconta “il libro del Mondo” (Goldoni docet) ovvero quella varietà umana, psicologica e comportamentale in cui ognuno potrà ritrovarsi.

Non mancano venature di intuizioni al limite dell’irrealtà.

I promotori di questo “Manifesto Popolare” sono insigni strumentisti capeggiati dal mattatore Fofò Stramandìnoli (chitarra, voce, kazoo); alla batteria troviamo Danilo Rinaldi – altresì percussionista – poi la tromba di Elia Conti e il trombone di Claudio Podeschi; e ancora l’alternarsi di Nicolò Fiori e Elia Scarponi al contrabbasso, quindi i flauti di Fabio Mina e la fisarmonica di Luigi Flocco (talvolta cimentatosi anche alle tastiere).

Ottimi arrangiamenti, ritmo trascinante: difficile resistere ad una simile avance.

Il disco si apre – dopo una breve ouverture no-sense (Il Corriere di Plutone)  – con La Panda, il buono e lo sconto ritratto in chiave jazz delle convenzioni borghesi; l’incedere scanzonato de La gogna conduce a quella satira imperante che distingue anche gli Lp precedenti (50enne bruno povero senza fissa dimora, cerca donna ricca e bella scopo matrimonio, ndr).

Richiamerò è una danza burlesca sempre attuale nel paese dei raccomandati: “sai che bell’uomo sarei stato, se fossi nato figlio di un principe o di un avvocato, avrei risolto i miei tabù”.

Segue un pezzo più meditativo – Il ballo del dente dispari –  intriso di una vaga malinconia (o rassegnazione?) dove finanche gli specchi “riflettono solo ciò che gli va”.

Ma ecco che a ‘risollevare gli animi’ arrivano Un altro tono – politicamente scorretto –  e il regime dispotico de Il capo in cui l’arroganza e l’opportunismo dominano la scena.

È di fondo anche il tema della crisi ne L’estate, che costringe a trascorrere le ferie in città, in barba alla voglia di mare.

In chiusura Mi converto: bell’escalation di toni, acute riflessioni e bisbigli; a sorpresa un finale reggae.

Dulcis in fundo l’esilarante brano che dà il nome all’album – Non vi stimo più – provocatorio e rifuggente.

Ascolto vivamente consigliato.

E poi vai con il rewind.

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Gabriella Scafuri
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