Impulse
Let Freedom Rock
(Music Force)
heavy metal
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Chieti anno 2006: è qui che nascono gli Impulse, quintetto metal che dopo diversi cambi di line up trova finalmente l’intesa con Federico Kramer Di Santo alla batteria, il singer Luca Ienni e l’axeman Daniele Di Caro, il chitarrista autore delle composizioni di questo debut album, Let Freedom Rock. Il bassista Ayrton Glieca e l’altro chitarrista, Fabio Cat Magrone trovano così l’alchimia giusta per mettere sui binari questo Frecciarossa nostrano chiamato Impulse.
Il risultato è un album metal, in inglese, in cui la band produce sonorità molto vicine a quegli anni ottanta che hanno visto fiorire band come Iron Maiden e Helloween. Questo, mi pare, è l’indirizzo della band abruzzese, un percorso di 10 brani tirati, cavalcate ben suonate con assoli melodici in stato di grazia.
L’apertura è della scatenata Rockrider, il cui stile d’esecuzione ci rispedisce irrimediabilmente alle band che hanno battuto il ferro nelle fucine della gold age dell’heavy rock. La batteria inarrestabile di Kramer ci mazzuola per bene alla seconda traccia di Worth Fighting For, Worth Dying For, un brano AOR che omaggia Helloween/Manowar e i giri ariosi del fantasy mental.
Raise Up The Flags è una galoppata strumentale e ne segue a ruota un altro pezzo noise, cupo e greve, Let The Sound Begin con effetti burrascosi di sottofondo a fare da apripista a Rock Never Dies. La voce di Luca Ienni è sorprendente, ha una buona estensione, se la cava egregiamente in tutte le sessioni, mai pesante.
Con Wisky n’ Rock n Roll si torna a un classico street rock vecchia maniera. I cori sono di discreto supporto, gli assoli da vecchia scuola, puliti e nei tempi giusti. Il comparto ritmico picchia all’unisono, i due chitarristi mettono sul piatto tutto ciò che hanno imparato andando a scuola amalgamando con armonia i riff con cui cuciono i brani.
I Had a Dream è l’unico lentone con variazioni chitarristiche che non si mette a strafare esageratamente. L’atmosfera del disco è quella dei tipici riff rocciosi a sostenere canzoni grevi che si lasciano ascoltare, il tutto sembra confezionato come una rivisitazione dei grandi classici, una buona produzione per l’esordio di questa band. Ma attenzione a pensare che riciclino le idee: ascoltatevi i 7 minuti della canzone di chiusura che dà il titolo all’album, un gran pezzo con ritmiche alternate e la grinta che per tutto il disco non molla mai. Attendiamo però una conferma dal prossimo lavoro degli Impulse.
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