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Iggy Pop: Every Loser

Con Every Loser, Iggy Pop - l’iguana più famosa della storia del rock - è ritornato a graffiare e a fare male, contornato da musicisti di un livello clamoroso.

Iggy Pop

Every Loser

(Atlantic)

rock

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In questo particolare momento storico, Andrew Watt ha l’inequivocabile merito di trasformare in oro tutto ciò che tocca. Dopo aver letteralmente rivitalizzato una carriera avviata al crepuscolo come quella di Ozzy Osbourne, il produttore/chitarrista riporta in auge il buon Iggy Pop che pareva avere perso da tempo lo smalto e l’irriverenza che ne avevano caratterizzato il suo percorso artistico.

Con Every Loser, l’iguana più famosa della storia del rock è ritornata a graffiare e a fare male, contornata da musicisti di un livello clamoroso come Stone Gossard, Dave Navarro, Chad Smith, Duff McKagan, Chris Chaney e la buonanima di Taylor Hawkins.

Si capisce immediatamente che le cose sono cambiate con l’iniziale Frenzy, una botta punk dove non si fanno prigionieri. Il registro si modifica con la successiva e laconica Strung Out Johnny, una traccia che veleggia tra la new wave anni Ottanta e il rock alternativo dei primi novanta.

Le melodie sono facili e di primo impatto e servono per far capire come ci sia anche sostanza oltre all’ineccepibile forma.

La ballata New Atlantis si colloca come una delle cose migliori registrate dall’ex Stooges. La sua voce cavernosa si sposa benissimo con la chitarra acustica che lo accompagna. Un rock’n’roll legato alle tradizioni stradaiole della Los Angeles che fu (quella dei Guns, tanto per intenderci) si ritrova nella briosa Modern Day Rip Off, mentre Morning Show è, probabilmente, la composizione più debole dell’intero album, perché sa di trito e ritrito. Iggy Pop imita, forse, troppo spudoratamente Johnny Cash e quest’aspetto influisce, e non di poco, sul giudizio che si deve attribuire a questa canzone.

Dopo l’intermezzo regalato da The News For Andy, si ritorna a cavalcare sano rock con la velocissima Neo Punk, un condensato di due minuti e quindici secondi di puro punk vecchio stile, in cui si intuisce che il cantante si diverta assai.

All The Way Down si rivela una traccia in puro stile Foo Fighters, dove tutto riesce a funzionare per il meglio. Pesante il giusto, si fa apprezzare per quel senso della melodia immediato e mai banale.

 

Gli anni Ottanta dark e sintetici ritornano all’improvviso con la derivativa Comments che, al netto del sentito e risentito, risulta bellissima.

Se qualcuno vuole capire come si scrive una semplice canzone, può darvi un ascolto, anche disinteressato. La domanda che ne deriva è abbastanza ovvia: perché oggi gli artisti moderni (e che vanno per la maggiore) non sanno comporre in questo modo? I Fontaines D.C. dovrebbero, probabilmente, chiedere spiegazione all’amico dei compianti Lou Reed e David Bowie per capire come si faccia a incidere un brano che abbia nel suo DNA la forza di rimanere nel tempo.

A chiudere il tutto ci pensano la brevissima My Animus Interlude e, soprattutto, l’ottima The Regency che confermano l’incredibile stato di ispirazione che sembrava non abitare più dalle parti di Iggy Pop.

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Francesco Brunale
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