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Hunter & The Bear: Paper Heart

Paper Heart, il primo album degli Hunter The Bear, è un fantastico pop-rock impreziosito dalla voce incredibile di Will Irvine, credetemi o no, il nuovo Bono Vox

Hunter & The Bear

Paper Heart

(H&TB)

rock

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Hunter & The Bear Paper HeartCi siamo, finalmente è uscito Paper Heart, l’album di debutto degli Hunter & The Bear.

Lo dico senza giri di parole: lo aspettavo davvero con ansia da un sacco di tempo.

Vi ricordate di loro?

Su Rockshock avevo già recensito il loro secondo EP Wildfire (2015) e fatto una lunga chiacchierata con il frontman, Will Irvine.

Ma bando alle ciance.

Il primo brano, You Can Talk, è il mix perfetto di rock e pop che incarna perfettamente l’imprinting di questa band londinese che, nonostante la giovane età, si è già tolta lo sfizio di dividere il palco con mostri sacri del calibro di Eric Clapton, Van Morrison, Simple Minds e Bruce Springsteen.

La successiva Hologram è trascinante, pazzesca, esagerata, adrenalinica, un pezzo da repeat adatto a ogni playlist, e svela al mondo la profondità vocale di Will che in tempi non sospetti io, lasciatemi vantare il giusto, avevo paragonato a quella del Boss e non mi rimangio una parola.

La title-track, Paper Heart, è un pezzo di facile ascolto che vi rimarrà in testa per giorni. Ma, e lo spiego per i più superficiali di voi che leggendo queste righe penseranno ai soliti “hooker” da radio, non svende la qualità di un sound incredibilmente fresco come quello di nessun’altra band che mi sia capitato di sentire negli ultimi 10 anni almeno.

Se al primo impatto potrebbero sembrare vicini a certo hair-metal o AOR degli ’80, l’influenza di vecchiacci sempreverdi come i Led Zeppelin è molto meno evidente ma permea comunque la loro ispirazione. E infatti il mio passaggio preferito, da Hologram, lo conferma così: “i Rolling Stones sul sedile posteriore, ancora e ancora e ancora”.

Who’s Gonna Hear You è un rock-blues riletto in chiave estremamente moderna e, dopo un’infilata d’apertura talmente scoppiettante che avrà fatto gridare di giubilo il pubblico ma senza probabilmente riuscire a saziare i palati dei puristi (siamo alle solite…), porta il suono su un livello di maggiore profondità che, al lordo di un fantastico assolo di chitarra di Jimmy Hunter, conquista stavolta l’attenzione di tutti e, a tratti, sa anche picchiare giù duro.

Ed ecco che allora la successiva I Am What I Am si apre con un delicato arpeggio che pone in risalto, ancora una volta, la melodia. Proprio come, ma qui saltiamo un paio di tracce avanti, Won’t You Ever Come Home, che è una ballad ma anche un mezzo-tempo e, certamente, esattamente il tipo di musica che, se qualcuno me lo avesse chiesto qualche mese fa, avrei risposto che mi sarei aspettato di sentire in tutto il loro primo album.

Invece gli H&B hanno deciso di spaziare qua e la, cosicché ci divideremo inevitabilmente tra chi li vede come una band crossover e chi, invece, come una band furbetta.

E allora chiaritevi le idee da soli: andate a cercare su Youtube la loro cover di The River, una versione acustica di uno spessore inimmaginabile, e poi ditemi se riuscireste mai a immaginarvi Irvine cantare così incredibilmente bene D.R.K., il pezzo più rock che gli abbia mai sentito intonare.

Lo so, ci torno e ci ritorno, ma è inevitabile, perché quando si ha un cantante con queste corde vocali anche il pezzo più semplice risulta straordinario senza la necessità di aggiungere particolari orpelli da studio di registrazione.

Gli H&B hanno qualcosa di speciale, il loro suono ha un qualcosa che manca a tutti gli altri, lo si capisce subito sebbene sia impossibile stabilire cosa sia e l’unica è limitarsi a prenderlo per quel che è: un dono.

Se fossimo ancora nel 1997 o anche prima, sono pronto a scommetterci, diventerebbero grandi come gli U2 o i Coldplay e io, sebbene non sarei più in grado di contattarli e quelli della security mi terrebbero regolarmente fuori dai backstage, potrei comunque vantarmi per tutta la vita di essere stato tra i primi a credere fortemente nel loro potenziale e ad avere avuto il piacere e il privilegio di intervistare il nuovo Bono Vox.

Il problema è che, ahimè, siamo nel 2017, e la musica è morta.

Forza ragazzi, pensateci voi a farla resuscitare perché siete proprio forti!

Ah già, dimenticavo, permettetemi un piccolo atto di peculato: ”Will, scherzavo, non tagliartelo il ciuffo”.

E qui le signorine…

 

 

 

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