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Gun: recensione di Hombres

La leggendaria rock band scozzese Gun torna in scena con il nuovo album Hombres, un inno a quel sound dal timbro marcatamente hard-blues che poggia le sue fondamenta negli anni '70 e '80.

Gun

Hombres

(Cooking Vynil)

classic rock, blues and roll, hard rock melodico, arena rock, AOR, power ballad

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Nel continuo dialogo tra passato e presente, ha ancora senso, oggigiorno, parlare di revivalismo musicale? Se da un lato il genere rock ha raggiunto ormai da tempo il suo indice di obsolescenza programmata, dall’altro dimostra che, giocando a carte scoperte, può ancora sopravvivere grazie al business della nostalgia.

A distanza di due anni dal precedente album The Carlton Songs, la leggendaria rock band scozzese Gun torna a ruggire con il suo nuovo lavoro in studio Hombres, edito per Cooking Vinyl, mixato da Daryl Thorpe e anticipato dall’uscita dei singoli All Fired Up, Boys Don’t Cry, Take Me Back Home, Falling e Lucky Guy.

La notorietà dei Gun è da sempre legata alla loro canzone più famosa, ovvero la rivisitazione in chiave hard rock di Word Up, brano del gruppo funk newyorkese Cameo. D’altronde, la storia della musica è piena di artisti o band che in carriera sono riusciti a trovare il jackpot con un’unica canzone, magari una cover, senza mai più ripetersi. Milioni di copie vendute, successo planetario e poi la discesa verso l’oblio del programma meteore. Per fortuna ci sono le royalties ad assicurare una decorosa pensione.

Oltre a celebrare il trentesimo anniversario del tanto acclamato Swagger, i cinque “hombres” di Glasgow – Dante Gizzi e Giuliano Gizzi rispettivamente voce e chitarra, Pau MacManus alla batteria, Andy Carr al basso e Dave Aitken alla chitarra – dichiarano il loro entusiasmo per questo nono capitolo discografico: “Siamo orgogliosi e sappiamo che i fan lo adoreranno. Cerchiamo sempre di andare avanti ed innovare. È essenziale, perché ci permette di mantenere viva la passione e l’entusiasmo nel fare musica, ancora insieme dopo così tanto tempo. È importante portare nuova linfa e nuove idee nella band”.

Inserendosi in quell’offerta bulimica di revival mood che contraddistingue buona parte di quest’ultimo decennio, anche i Gun sono scivolati in quella dimensione vintage circoscritta al fanclub dei rock-believer, rimanendo fedeli alla loro natura e a quel territorio ricco di suoni blues & roll che poggia le sue fondamenta negli anni 70 e 80, con un misto di armonie a presa rapida e robustezza esecutiva a garantire un’energica resa dal vivo.

Se sotto l’aspetto testuale i Gun si scagliano contro tutti i finti reazionari che preferiscono la scorciatoia dei facili consensi, rimarcando come umiltà e determinazione siano tutt’oggi gli ingredienti chiave per affrontare i vari step della vita e costruire un qualcosa di vero e duraturo (Boys Don’t Cry, Take Me Back Home), dal punto di vista strumentale Hombres è, di fatto, un inno a quel sound frizzante e dal timbro marcatamente hard-blues che assorbe il virtuosismo melodico del rock anni 80 e il ritmo incalzante, ronzante, incandescente e sensuale del boogie rock anni 70.

Orientandosi nei labirinti del presente con l’inossidabile bussola del revival, i Gun dispensano un repertorio adrenalico, pirotecnico, orecchiabile ed emozionale, spaziando tra l’incedere di ritmiche sincopate e ballabili che rimandano ai The Knack di My Sharona (a proposito di meteore della musica), refrain ammiccanti, riff graffianti alla Ratt e Survivor, assoli incandescenti e riff stop & go alla The Cult, passando per power ballad che sembrano griffate Bon Jovi (Falling) e tutta una serie di influenze stilistiche a rievocare realtà iconiche quali Rolling Stones, Led Zeppelin e ZZ Top.

Insomma, anche se la “Gun Experience” non potrà ridarci indietro gli anni in cui il rock rappresentava una questione generazionale, e anche se le cose non sono più così “easy” come ce le raccontavano i vecchi Guns N’ Roses, possiamo cedere, ogni tanto, all’illusione di riportare in vita una giovinezza svanita.

 

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