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Green Day: la recensione di Father of All Motherfuckers

Father of All Motherfuckers è appena uscito, ma è già riuscito ad aggiudicarsi il titolo di album più controverso dei Green Day. A stupire la durata, ma soprattutto il repentino cambio di rotta nel loro caratteristico sound.

Green Day

Father of All Motherfuckers

(Reprise)

punk, rock

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Green Day Father of All Motherfuckers recensioneIl tredicesimo album in studio dei Green Day è di sicuro uno dei più controversi del terzetto americano. È appena uscito e ha già diviso critica e pubblico. Due gli elementi che hanno destato maggior scalpore. Da una parte, la durata: con i suoi 27 minuti circa è infatti il più breve della loro produzione. Dall’altra, il cambio di rotta in termini di sonorità. Se sulla prima si può soprassedere, non tutti sono disposti a chiudere un occhio (o due) su quello che molti registrano come un vero e proprio tradimento. Compiacere il pubblico non è però il motivo per cui Billie Joe e soci sono in giro da trent’anni. La loro estrema coerenza sì, e questo lavoro ne è l’ennesima riprova.

La copertina di Father of All Motherfuckers crea una sorta di trait d’union con quella di American Idiot, con l’aggiunta di un unicorno che vomita un arcobaleno a celare il titolo in odore di censura. Ma per il resto le similitudini con il passato finiscono qui. Smessi i panni degli alfieri di quell’aperto attivismo politico che davamo ormai per scontato, la band ci invita a ballarci un po’ su, a una festa che dietro a frizzi e lazzi nasconde pur sempre vari spunti di riflessione.

Quando la condizione sociale ti deprime a tal punto da non essere più fonte di ispirazione, meglio guardare altrove. A quei generi che hanno fatto la storia della musica, anche se apparentemente non sembrano far parte del tuo immaginario. Ne è nato un mix di tracce nelle quali emergono rockabilly (Stub in the heart), glam (Oh Yeah!) e tocchi dark alternative (Junkies on a high), senza ovviamente dimenticare il loro immancabile e personale punk-garage-rock (la title track e il singolo Fire, Ready, Aim).

Qualunque opinione ci si faccia alla fine di Father of All, quello che è evidente è che si tratta di un disco molto istintivo, uscito senza pensare più di tanto alle logiche di mercato. Lungi dall’essere anche solo lontanamente paragonabile ai capisaldi della produzione dei Green Day, di sicuro darà però grandi soddisfazioni dal vivo. Là dove questa eterna volontà di non prendersi sempre sul serio definirà meglio alcuni brani dandogli ancora più spinta. In perfetta sintonia con i medley anni ‘60/’70 già presenti in scaletta nei loro tour.

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Simona Fusetta
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