Isis
Panopticon
(CD, Ipecap/Self, 2004)
post metal core
Panopticon, edificio che prevede al proprio interno, nel suo centro, una torre di osservazione. Il luogo dove tutto si può scrutare, senza esser visti. Il tormento di Orwell, l’illusione diabolica del controllo totale.
Tanta attesa c’era intorno al nuovo album degli Isis. E Panopticon non delude. L’ideale successore del piccolo capolavoro Oceanic, si presenta denso e con una oscura aurea deviante. Psichedelia criptica, marcia, come se i Pink Floyd andassero a braccetto con gli Opeth.
Se i Tool avessero fatto un patto ermetico con i Mogwai degli esordi, il risultato sarebbe stato lo stesso. Il post core incontra le psichedelia, oppressa da sfumature dettate dal delirio di essere continuamente spiati, inseguiti, braccati.
Armonie sincopate, asettiche, che esplodono in chitarre dure e tormentate. Un album strumentale, dove le poche proiezioni vocali sono solo grida disperate. Folle visione, squilibrata e annichilente di un disturbo continuo e lancinante. Assurda e disperata fuga da un abbraccio asfissiante. Ma la spira è filo spinato, che più stringe e più fa male.
La band di Boston suona post metal. Ma questo è solo un pretesto per offrire una prospettiva aerea malata. Un album dove si guarda senza essere visti e consapevolmente spiati. Esplorazione maligna delle visioni di Aaron Turner, che si materializzano sui brani così come sull’artwork.
Intenso ed intriso della pesantezza del concept che rappresenta, un album da avere, scoprire, comprendere, subire.
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