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Gasparazzo: Fonostorie

Dai Balcani ai Caraibi passando attraverso il Mediterraneo e più di una sosta sugli Appennini. Il nuovo disco dei Gasparazzo conferma le loro capacità e, forse, apre a nuove future sonorità

Gasparazzo

Fonostorie

(Cd, Goodfellas)

folk, reggae, rock

[starreview tpl=16]

________________

I suoni si mescolano, i ritmi si sommano, le voci si alternano, ma il risultato è sempre lo stesso. Gli ingredienti sono sempre i soliti, un po’ di caraibi, un po’ di balcani, un po’ di rock, il tutto arricchito da una buona base di sociale, con spruzzate di antifascismo e, sacrosante, preoccupazioni ecologiste, eccovi la band alternativa italiana. L’ennesima. Spero che i componenti dei Gasparazzo siano sufficientemente democratici da non darmi del fascista e del reazionario borghese solo perché il loro disco non mi ha esaltato.

Sono contento del fatto che questo disco, così come moltissime produzioni italiane degli ultimi tempi, sia prodotto in maniera egregia, suonato benissimo. D’altro canto il gruppo suona da moltissimo tempo ed ha ricevuto anche notevoli riconoscimenti. Non mi piace molto il modo di cantare di Alessandro Caporossi, che con le sue modulazioni alle volte rende incomprensibile i testi, e che quindi non rende un buon servizio alla canzone, tranne che per la Ballata del passo lento, l’ultima traccia del CD, dove finalmente, si possono apprezzare veramente le sue capacità.

Non solo, se tutto il disco avesse percorso il solco sul quale è inserito l’ultimo brano, la mia recensione sarebbe stata diversa. Diversa perché non avrei fatto i paragoni con nomi di gruppi che automaticamente si affacciano ascoltando i Gasparazzo: Bandabardò, Negrita, Aretuska. Sono sicuro che è un onore per loro essere associati a questi nomi, con i quali si possono mettere sullo stesso piano per qualità e professionalità. Il problema è che ci sono già loro, perché non creare qualcosa di musicalmente nuovo, mantenendo i contenuti? I Gasparazzo ne hanno la capacità e forse ci stanno anche pensando, vista la presenza della Ballata del passo lento. Bellissima. A mio avviso, si stacca clamorosamente dagli altri, proprio per la sua diversità sonora. E come se non c’entrasse niente con le altre canzoni. Le altre sono canzoni di semplice ascolto, il cui messaggio si perde spesso tra i meandri della voce. Ogni tanto si sente un suono, un passaggio originale, in particolare ne Il maestro del tajine, ma non è sufficiente a far brillare il disco di luce propria, come dovrebbe, anzi, come potrebbe.

Un po’ di coraggio musicale. Osate.

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Antonio Viscido
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